Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

“Mi trovo in un luogo lontano, un luogo che non conosco, e sono qui, a cercare la ragazza. Cerco la ragazza perché... anche la ragazza sta cercando me.”
Spiegare a parole le sensazioni che suscita questa splendida mini-serie anime è un’impresa quanto mai ardua, cosi come è arduo per il gatto comprendere le parole della sua padrona. Eppure sono lì, nella loro stanza, uniti da un legame che va oltre l’incomunicabilità, cullati dal loro principesco sentimento.

“Kanojo to Kanojo no Neko: Everything Flows” è a tutti gli effetti la rielaborazione, e se vogliamo la versione definitiva, del primo cortometraggio di Makoto Shinkai “Kanojo to Kanojo no Neko”. Si è passati da un cortometraggio di cinque minuti a quello che sarebbe un mediometraggio di venti (la serie è composta da quattro episodi da circa sette minuti l’uno, che durano cinque, se si escludono opening ed ending). È stata scritta dallo stesso Shinkai e girata da Kazuya Sakamoto, noto soprattutto per gli storyboard di “Clannad”, “Terra Formars” e “Sword Art Online II”.

La storia, di fatto estremamente semplice, si sviluppa tutta intorno al rapporto tra il gatto e la ragazza. Un rapporto normale, reale, che va piano piano saldandosi con una naturalezza che fa stringere il cuore. Se la Miyu bambina all’inizio, gelosa delle attenzioni che sua madre riserva al micio, tenta addirittura di abbandonarlo, col tempo maturerà un sentimento radicato e sincero nei confronti del suo animale, arrivando a considerarlo un vero e proprio compagno di vita. Pochi gli eventi in tempo reale, diventa quindi fondamentale l’uso del voice-over, che copre gran parte dell’arco narrativo, raccontandoci i pensieri dei due personaggi, a volte cosi profondi da spingerci inevitabilmente a riflettere. Sicuramente la mancanza di Shinkai dal punto di vista artistico/visivo si fa sentire, ma complessivamente non so quanto la sua regia avrebbe innalzato il prodotto. L’opera infatti risulta dolce e romantica senza scadere mai nel mellifluo, come spesso accade con il regista di “5 cm per second”.

Molteplici le tematiche affrontate, dall’abbandono alla reincarnazione, dalla crescita alla morte. Tutte levigate con estremo tatto. La principale differenza con “Kanojo to Kanojo no Neko” risiede proprio nel rapporto tra i due protagonisti. Se nel primo cortometraggio di Shinkai l’amore tra il gatto e la ragazza risultava un tantino melodrammatico, qui appare tutto più reale, e le emozioni di Daru sembrano verosimilmente proprie di un felino, a differenza dell’opera targata 1999, in cui il sentimento del gatto risultava fin troppo immaginoso e umanizzato.
Splendido il finale, che sposa la filosofia “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, ricollegandosi magistralmente al primo lavoro di Shinkai. Verrebbe anche da dire “Panta rei”, che è come dire “Tutto scorre”, come dire “Everything flows”.

“Io vivo secondo i miei ritmi, e la ragazza vive secondo i suoi, perciò, per me, questi momenti in cui i nostri ritmi si incontrano sono i più preziosi di tutti.”
“Kanojo to Kanojo no Neko: Everything Flows” è un’opera di una morbidezza disarmante, permeata di una delicatezza melodiosa ma mai stucchevole. Originale sia nella forma che nei contenuti, questa mini-serie saprà ritagliarsi con tutta la sua dolcezza uno spazio nei vostri cuori, riuscendo a stuzzicare la sensibilità di ogni spettatore. Una piccola perla animata, emozionante e commovente, semplice nella sua sinossi e profonda nella sua interpretazione.

10.0/10
-

Dopo il ritorno in grande stile della Disney con quel mezzo capolavoro che fu “Ralph Spaccatutto”, la sottoscritta non vedeva l’ora di vedersi un nuovo classico Disney, che offrisse a grandi e piccini diverse pillole di vita addolcite da una giusta dose di divertimento. Purtroppo, con il mediocre “Frozen” e il non così tanto eccezionale “Big Hero 6” le mie aspettative non vennero mai soddisfatte. Dunque, si può dedurre che, non appena sentii parlare di un nuovo classico Disney in cantiere, non ero particolarmente impaziente di vedermelo. E accidenti ai miei pregiudizi: per poco mi perdevo un altro mezzo capolavoro.

In un mondo in cui gli esseri umani non sono mai esistiti, gli animali nel corso del tempo si sono evoluti e abitano tutti insieme senza che i predatori mangino le prede. Protagonista della storia è Judy, una coniglietta che sin da quando era cucciola sogna di diventare un’agente di polizia. Con molta fatica, Judy riesce a diventare un poliziotto. Tuttavia, i pregiudizi degli altri animali nei suoi confronti continuano ad essere presenti e lei dovrà continuare ad abbatterli, risolvendo un caso particolarmente difficile con l’aiuto di qualcuno che come lei è sempre mal giudicato per la sua natura: la volpe Nick. Non mi dilungo oltre, perché ‘spoilerare’ un film del genere per me è un gran peccato.

Ci sono molti elementi per cui questo film ha le potenzialità di diventare un capolavoro (se non lo è già). Si può partire dall’articolata e ben gestita commistione di generi, dove il comico, il drammatico e il noir vanno a mescolarsi creando una perfetta armonia. Si può continuare parlando della brillantezza e genialità degli sceneggiatori nello scrivere personaggi memorabili anche dopo averli visti solo per due secondi: ne sono un esempio lo yak maestro di yoga, il bradipo Flash e il topo ragno Mr. Big.
Ma i personaggi che rimarranno sempre scolpiti nella mia mente sono i due protagonisti. Judy e Nick sono un’accoppiata vincente. All’inizio sembra quasi impossibile che due tipi così diversi - ottimista l’una, cinico l’altro - possano legare, ma nel corso del film le loro diversità sembreranno delle sottigliezze in confronto alle tante cose che hanno in comune, a partire dal fatto che entrambi sono sempre stati vittime del pregiudizio altrui. Ma su di loro non vorrei soffermarmi più di tanto: tutte le scene in cui sono presenti sono sempre state sorprendenti e a volte anche toccanti.

Sul lato tecnico del film è inutile spendere diverse righe di recensione: si parla della Disney, e la qualità è sempre eccelsa, dalla cura maniacale con cui sono stati disegnati e animati gli animali (i peli delle loro pellicce sembrano veri) ai vari habitat che caratterizzano Zootropolis tutti da scoprire. Piccolo appunto sul doppiaggio italiano: sono anni che in Italia si chiamano volti noti a doppiare i film d’animazione, anche quelli della Disney. In “Zootropolis” alcune interpretazioni, come quelle di Massimo Lopez e di Leo Gullotta sono state apprezzate (e anche giustamente), ma altre come quelle di Paolo Ruffini e di Frank Matano sono state odiate sotto ogni punto di vista. Sebbene ciò che fanno Ruffini e Matano di mestiere non sia di mio gusto, non si può negare che siano stati abbastanza bravi nel doppiare i propri personaggi. La loro parte occupa pochissimo spazio nel film e non capisco perché criticare l’accento livornese di Ruffini quando non ho sentito nessuno condannare la parlata romana di Romeo in “Gli Aristogatti”: in entrambi i casi si capisce che la cosa è voluta e in entrambi i casi per me è un ulteriore tocco di classe dato ai personaggi.

In conclusione, “Zootropolis” è un classico Disney degno di questo nome, che affronta argomenti come la diversità e come a volte i propri sogni rimangono irrealizzabili, nonostante l’impegno. Per quanto siano temi delicati, essi vengono trattati e presentati nella giusta maniera, senza sembrare troppo didascalici né troppo pesanti. Consiglio di vederlo non solo ai fan della Disney, ma proprio a tutti, e non si permetta che il pregiudizio (termine molto presente in questa recensione) tenga alla larga le persone da questo piccolo gioiello cinematografico.

-

Probabilmente, “Il cane che guarda le stelle” è una storia che tocca il cuore più a persone che hanno avuto un animale domestico al proprio fianco, oppure, come nel mio caso, a persone particolarmente sensibili quando si parla di queste fedeli e lunghe amicizie tra un uomo e il suo animale.
La storia di Murakami è di una semplicità incredibile, eppure in poche pagine riesce a rendere perfettamente chiare le emozioni dei pochi personaggi. Una piccola famiglia adotta un cucciolo di cane, chiamandolo Happy. Tutta la storia è filtrata dal suo punto di vista, che racconta dei suoi momenti quotidiani con i suoi padroni, e soprattutto delle lunghe passeggiate con “papà”, il capofamiglia. Anche le risposte tra l’uno e l’altro, fanno sorridere. Pian piano, Happy assiste impotente al lento degenerare delle cose: il decadimento del nucleo famigliare, che diventa sempre più chiaro dal cambio di orari delle passeggiate, dalla relazione tra il suo papà e gli altri membri della famiglia, dalla scelta dell’uomo di spogliarsi dei propri averi per rivestirsi unicamente della gioia che gli viene regalata, quotidianamente, dal fedele amico a quattro zampe.

La storia di per sé è toccante, compreso un finale prevedibile viste le premesse, e racconta il viaggio, sia nel mondo che interiore, di questi fedeli compagni.
Assolutamente consigliato!