L'imminente distribuzione globale su Neflix della nuova fatica di Wit Studio, la serie d'azione Great Pretender, incentrata sui micidiali tranelli di un gruppo di imbroglioni, ha riservato a tutti gli appassionati di animazione giapponese (e presumiamo, anche di bella musica) una gradita sorpresa: ad accompagnare le immagini della sequenza di chiusura, infatti, troviamo nientemeno che Freddie Mercury. Quanto alla scelta del brano, beh, non avrebbe potuto che ricadere sull'omonima cover del leggendario cantautore e musicista britannico, The Great Pretender, appunto. Come possiamo ammirare dal risultato, il regista H. Kaburagi confeziona un simpatico omaggio al videoclip originale, animato in modo adorabile (dalla sola Atsuko Nozaki) e con protagonisti gli amati felini dello stesso Freddie... Praticamente qualcosa di impossibile da skippare.
 



Ma i fan più incalliti ricorderanno che l'ex leader dei Queen, oltre ad essere presente in carne ed ossa nel cast di un certo anime (shh, nessuno ci impedirà di credere che fosse quello vero), non è stato certamente l'unica guest star della musica internazionale ad aver calcato i palchi dei cartoni giapponesi, spiazzando piacevolmente il nostro udito all'inizio o al termine di uno show.

A questo proposito, rinfreschiamoci un po' la memoria gustandoci una carrellata di alcune delle migliori opening ed ending di anime interpretate da musicisti occidentali (più o meno famosi). Le ricorderete tutte? Vi prometto che almeno una di queste non ve la aspetterete...

Partiamo dall'esempio più scontato: difficile non pensare subito ad una delle serie più "esterofile" per eccellenza, Le bizzarre avventure di JoJo. Fin dalla prima trasmissione televisiva nel 2012, l'anime ha fatto delle sue ending una sorta di marchio di fabbrica, alimentando stagione dopo stagione la curiosità e l'immaginazione dei fan, sbizzarritisi a pronosticare la scelta dei nuovi brani e artisti.
Pat Metheny, Savage Garden, The Bangles sono alcuni dei nomi coinvolti, ma probabilmente il segno più indelebile resta quello lasciato dalla splendida Roundabout degli Yes, considerando, tra le altre cose, che da quel riff di Steve Howe è derivato uno dei meme più popolari del web.
 



Tra le band di prestigio fondate negli anni Sessanta, ce n'è un'altra che ha fatto capolino nel mondo degli anime, in particolare sugli schermi cinematografici. Non parliamo di un gruppo qualsiasi, tantomeno di un film qualsiasi: nel 2016 usciva La forma della voce, e si presentava al pubblico in sala sulle le note di un indiscusso manifesto, My Generation dei The Who.
Malgrado le difficoltà di un'acquisizione di tale portata, il brano era stato fortemente voluto da Naoko Yamada per rappresentare lo stato d'animo del piccolo Shoya: un bambino che si sente invincibile, ma affronta anche una frustrazione forse infondata. Il prodotto di questo impegno d'autrice è una sequenza di titoli di testa tra le più ispirate degli ultimi anni, nonché uno dei picchi registici della pellicola.
 



Ma torniamo un po' indietro nel tempo facendo un bel salto di diciotto anni. È il 1998 quando Serial Experiments Lain approda in fascia notturna sugli schermi televisivi nipponici. Un'opera che impressiona e spiazza anche a decenni di distanza, per via dei suoi temi complessi e avveniristici, dell'alienante messa in scena e, non ultimo, del conturbante e bellissimo video d'apertura, cullato dalla malinconica Duvet.
Furono i Bôa, formatisi a Londra nel 1993, a firmare questo brano (che rimarrà il loro più famoso) e a estrarlo come singolo per l'album di debutto, dapprima distribuito esclusivamente per il Giappone con il titolo The Race of a Thousand Camels, poi internazionalmente come Twilight. Non c'è bisogno di specificare che rientriamo nel caso delle opening senza tempo, di quelle che continuiamo a rispolverare ancora nel present day... present time! Hahahahahaha!
 



La nuova sperimentazione televisiva a cavallo tra i due millenni (innescata dal fenomeno Evangelion e perpetuata da titoli come appunto Lain), si manifestò in molte delle stesse sigle animate, sia a livello sonoro che visivo.
Un esempio può fornircelo la OP di Legend of Black Heaven, pregevole binomio di animazione espressionista (curata dall'allora astro nascente Shinji Hashimoto) e sferzante heavy metal composto dal chitarrista John Sykes, famoso per aver militato anche nei Thin Lizzy e nei Whitesnake. La traccia in questione si chiamava Cautionary Warning:
 



I primi anni Duemila saranno forse ricordati, da chi già allora seguiva la scena, per aver dato gli albori ad alcune delle storie più cupe e "introverse" mai trasposte in animazione. Era il periodo in cui anche i setting più apparentemente innocui e di stampo fanciullesco potevano dar sbocco a derive psicologiche, profondi racconti di formazione e allegorie dalle tinte oscure.
Erano gli anni di cose come Gunslinger Girl. Ora, la peculiare intro di questo anime ambientato in Italia (trasposizione di un manga pubblicato anche da noi), non avrebbe potuto rispecchiare in modo più limpido il mood e i fortissimi contrasti in esso presenti. Innocenza e brutalità, rassegnazione e speranza, umano e artificiale: « The girl has a mechanical body. However, she is still an adolescent child » recita una frase in piccolo a schermo, poi immagini di ragazzine si susseguono, alternando raffiche di armi da fuoco a semplici gesti quotidiani, mentre le sonorità di The Light Before We Land contrappongono massicce orchestrazioni, cori vocalici e percussioni distorte, affiancandosi ad un cantato similmente ambiguo.
Gli scozzesi The Delgados si saranno anche separati nell'ormai lontano 2005, ma non vogliamo dimenticare il loro contributo per quella che possiamo tranquillamente definire una sigla capolavoro.
 



Nel 2003 si affaccia nel palinsesto invernale un'altra produzione dalle atmosfere fredde e desolate, impreziosita dalle composizioni di una Yoko Kanno ancora nel pieno della sua relazione sentimentale con l'animazione giapponese: si tratta di Wolf's Rain, anime ben accolto sia in patria che all'estero, e non a caso, altrettanto rinomato per la sua colonna sonora originale. 
Per chi non la conoscesse, la poliedrica artista originaria di Sendai ha sempre composto musiche dal respiro internazionale, il che le ha anche favorito numerose collaborazioni con artisti stranieri. Contaminazioni dei più svariati generi sono confluite nei suoi lavori, che raggiungono una delle massime espressioni nel caleidoscopico Cowboy Bebop. A fare da sfondo ad alcune delle scene cardine della serie di S. Watanabe (tra cui uno dei momenti d'addio più toccanti e ben diretti della storia degli anime) vi era la voce di Steve Conte, chitarrista e cantante newyorkese di origini italiane (padre lucano, madre calabrese), che avremmo poi ritrovato per la prima volta in una sigla vera e propria. E non una qualsiasi, ma la conosciutissima (e geniale) Stray.
 



Steve Conte non fu l'unico dei "pupilli" di Yoko Kanno che ci abituammo ad udire negli anni 2000. Tra i featuring più importanti, impossibile non citare quello con la sua connazionale Maaya Sakamoto (con la quale lo stesso Conte duettò splendidamente), come anche quello con la purtroppo scomparsa cantautrice russa Olga Vitalevna Jakovleva, in arte Origa, figura di altissima caratura, che meriterebbe un tributo tutto suo: con un velo di tristezza ripensiamo alle eccezionali doti canore messe in mostra in Stand Alone Complex, Arete Hime, Fantastic Children, e a quante altre performance memorabili avrebbe potuto regalarci.
Ma vista l'occasione, direi di soffermarci su un'altra vocalist davvero speciale, che ha lavorato comunque al fianco della compositrice giapponese. Sì, perché parliamo di una talentuosa artista italiana (stavolta al 100%), di nome Ilaria Graziano: nata a Napoli, immersa nel mondo della musica fin da giovanissima, è riuscita ad ottenere popolarità anche all'estero proprio grazie agli anime, interpretando diverse colonne sonore. Il suo legame con l'animazione non si limita a questo glorioso sodalizio, la troviamo infatti partecipe in eccellenze del cinema nostrano come L'arte della felicità e Gatta Cenerentola.
La seguente opening, che s'intitola Christmas in the Silent Forest, fu collocata come alternativa a Rise durante la ri-trasmissione in digitale terrestre di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd GIG. Operazione già fatta in precedenza per la serie prequel, con la splendida ballad I do che andò a rimpiazzare Lithium Flower di Scott Matthew.



Nel 2005 è il turno di un singolo che negli anni Ottanta avrebbe sancito l'inizio di un successo planetario: quello dei Duran DuranLa canzone a cui ci riferiamo, Girls on Film, non è soltanto comparsa, come meglio ricorderete, nella seconda stagione di Stranger Things, ma fu anche scelta per aprire gli episodi Speed Grapher, o quantomeno nella sua versione originale giapponese: l'edizione anglofona (ahinoi, anche quella nostrana) ne era difatti sprovvista, a causa dei costi di licenza.
Un vero peccato, considerando come lo storyboard di Kunihisa Sugishima sembri perfettamente cucito addosso alla ritmica del brano, per non parlare del collegamento col protagonista dell'opera, un ex fotografo di guerra che si ritroverà a indagare su società segrete alla Eyes Wide Shut, tra personaggi corrotti e riti perversi... Quando è il caso di dire: "sesso, droga e synth pop".

 


A volte però bastano una chitarra acustica, una voce soave e un approccio visivo minimale per creare una sigla che resti impressa, come nel (duplice) caso di Mushishi
Le melodiche sfumature folk di The Sore Feet Song (Ally Kerr) e Shiver (Lucy Rose) si fondono all'astrattismo naturale di una serie di sfondi soffusi, evocando in maniera semplice ed efficace le atmosfere rilassate del viaggio di Ginko lungo un antico Giappone rurale infuso di misticità.

 


Torniamo in ambito di gruppi indie rock provenienti dalla Scozia, rituffandoci in qualcosa di più movimentato e catchy. Un anno prima dell'uscita di Nana un altro apprezzato manga di Ai Yazawa, sempre per mano dello studio Madhouse, riceve una trasposizione in cartone animato, cioè Paradise Kiss. A guidare il progetto è il tuttofare Osamu Kobayashi, già conosciuto per Beck: sue la regia generale, la scrittura di tutti i dodici episodi, e l'idea per l'accattivante video di chiusura, che può vantare la presenza dei Franz Ferdinand.
La scelta di Do You Want To si rivela quantomai vincente, perché solo a guardare i personaggi in versione super-deformed che ci danno dentro a tempo di musica, risulta difficile non stamparsi un sorriso in faccia ed iniziare a sculettare insieme a loro. La ben animata clip, dove tra l'altro è riconoscibile la mano di H.Imaishi (suoi i primi cut con l'automobile), emana una simpatia e un sound travolgenti come in pochi altri casi, guadagnandosi perciò un posto di diritto in questa passerella.

 


E veniamo a un altro pezzo forte, probabilmente il più raffinato del pacchetto. Tante sono le grandi produzioni televisive, da I Soprano a Peaky Blinders, che hanno visto figurare i Radiohead nella propria colonna sonora, ma quante serie animate hanno potuto concedersi lo stesso lusso? Se in America troviamo dei precedenti in Daria e Beavis & Butt-head, in Giappone il caso più unico che raro corrisponde al nome di Ergo Proxy, uno degli ultimi baluardi del cyberpunk animato, prodotto nel 2006 dal defunto studio Manglobe.
Ad attenderci nei suoi titoli di coda troviamo un assaggio di quell'enigmatica, stratificata e angosciante Paranoid Android che la rivista Rolling Stone collocherà al 257° posto tra le più grandi canzoni di tutti i tempi. La scelta si dimostra parecchio calzante con lo stile criptico dell'opera, tanto da indurre lo stesso quintetto britannico ad un ripensamento: inizialmente i Radiohead non ne approvarono l'utilizzo, tuttavia cambiarono idea dopo che gli fu mostrata un'anteprima dell'anime.
Le parole di Thom Yorke aleggiano su una distesa tenebrosa e indefinita, e attraverso di esse possiamo ricollegarci ai temi dell'insurrezione di classe e del risveglio dell'autocoscienza androide che caratterizzano il racconto di Dai Sato e Shuko Murase. Una pagina immancabile nella bibbia delle sigle.

 



Altra musica dal Regno Unito, altro gruppo di grande successo: gli Oasis. Nella primavera del 2009 il contenitore noitaminA inaugura la trasmissione di Eden of the East, breve original anime scritto e diretto da Kenji Kamiyama e adornato dal chara-design di Chika Umino. Quando parte la opening, non ci mettiamo molto a percepire le premesse per una visione singolare ed intrigante. 
Estremamente curata e stilosa in termini di storyboard e montaggio quanto nella disposizione dei suoi tantissimi elementi grafici, e altrettanto ricercata grazie al commento sonoro di Falling Dawn, la intro di EotE è di quelle che potrebbero benissimo non sfigurare neanche in un telefilm di punta di Netflix.
Anche in questa circostanza una certa attinenza alla trama è tangibile nel testo, che trasmette un senso di smarrimento e abbandono, gli stessi che proveranno Saki e Akira, ritrovatisi improvvisamente pedine di un piano più grande di loro.
Una piccola curiosità: il logo dei dodici Seleção (che vediamo anche nel video) riprende i colori del Manchester City, di cui i fratelli Gallagher sono accaniti tifosi, fatto che andrebbe a completare l'evidente riferimento calcistico. Sarà un caso? Nel frattempo che incrociamo le dita per una reunion del duo (scioltosi in quello stesso 2009), rigodiamocela:
 

 


C'è spazio anche per le cover, dall'eterna teenager Avril Lavigne che omaggia a modo suo How You Remind Me dei Nickleback e Bad Reputation di Joan Jett per un film di One Piece (non così strano, perché pare che lei ed Eiichiro Oda siano fan reciproci), alle oltre 30 versioni differenti di Fly Me to the Moon, ending theme che non ha bisogno di presentazioni, come d'altronde l'opera che la ospita.
Quella che più ci interessa però è la versione interpretata dalla cantante inglese Claire Littley, che è anche la prima ad apparire nell'anime.
 



Avevo promesso la bomba a sorpresa ed è il momento di sganciarla.
Se siete tra quelli che erano già a conoscenza di questa chicca, beh, onore a voi, perché forse avrete avuto modo di conoscere e recuperare un'assoluta gemma nascosta quale Hanada Shonen-shi, magari risalendo ad essa proprio grazie al seguente motivo.
Nel 2002 il nome dei Backstreet Boys (ebbene sì, esattamente la boy-band più iconica e rubacuori degli anni '90) arrivò ad invadere perfino l'animazione giapponese, tramite la concessione di ben due delle loro hit, prelevate da due diversi album (30 milioni di copie vendute in tutto): una era Drowning, che fu inserita come ending, mentre The One fece da canzone di apertura.
Sulla carta, il contenuto "cuoricioso" di entrambe le tracce avrebbe ben poco a che vedere con la storia di un ragazzino di campagna che, in seguito a un incidente, sviluppa la capacità di comunicare coi fantasmi. Eppure, l'esito di questo insolito accostamento parla da sé, specialmente nel caso della OP, dove la musica finisce per sposarsi sorprendentemente bene alle corse a perdifiato del piccolo Ichiro, immerso nei colori pastello di uno scenario bucolico estivo. Immagini e suoni che ancora una volta non falliscono in quello che è l'intento ultimo di una sigla, cioè veicolarci, nel suo piccolo, l'essenza dell'opera d'appartenenza: se questo breve video vi avrà scaldato il cuore, ispirandovi positività, spensieratezza e un filo di nostalgia, allora sapete cosa aspettarvi dalla visione (fortemente consigliata) di Hanada.
A proposito, il brano è presente anche come OST nella sua versione strumentale, composta da Yoshihisa Hirano.
 



Con i cinque bishonen di Orlando avevo inizialmente intenzione di concludere il discorso, ma dato l'argomento, sarebbe stato criminoso non dedicare un altro piccolo spazio ad uno specifico lungometraggio, seppur a costo di "barare": parlare strettamente di titoli di testa e di coda in questa circostanza è inadatto, poiché ciò che rappresenta Interstella 5555 nel panorama musicale e degli anime insieme, è una sorta di unicum, ossia il fatto che un intero concept album, il fantastico Discovery, abbia preso vita attraverso i disegni di Leiji Matsumoto, eroe d'infanzia e fonte d'ispirazione per un'intera generazione, tra cui gli stessi Daft Punk.
Al completamento del progetto, il brillante duo francese si recò direttamente a Tokyo per sottoporre l'idea al papà di Harlock, che accettò volentieri di farla concretizzare. Il film, la cui produzione terminò nell'aprile 2003 per un costo di circa 4 milioni di dollari, è suddiviso in 14 sezioni perfettamente combacianti con la scaletta dell'album, con i brani a fungere non semplicemente da sottofondo musicale, ma da racconto stesso.
Interstella 5555 è un viaggio onirico alla scoperta della musica e dell'animazione, che dovreste concedervi almeno una volta nella vita, forse alla pari di Fantasia. E se una volta non sarà bastata, troverete sempre un buon momento per ripetere questa emozionante esperienza, ancora, One More Time.
 

 


MENZIONI D'ONORE (altre sigle non citate o linkate direttamente nell'articolo)