Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

7.0/10
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“Il feticismo è una parafilia consistente nello spostamento della meta sessuale dalla persona viva nella sua interezza a un suo sostituto; ciò che la sostituisce può essere o una parte del corpo stesso, una qualità, un indumento, un'azione o qualsiasi altro oggetto inanimato. In sostanza, quindi, il/la feticista è colui/colei che prova attrazione sessuale per qualcosa che fuoriesce dai canoni della sessualità tradizionale che presuppone i genitali quali oggetti libidici primari. […]
È normalmente caratterizzato da una supervalutazione psicologica dell'oggetto sessuale che si estende a ogni cosa a esso associato. Un certo grado di feticismo rientra abitualmente nell'ambito della sessualità normale. La preferenza dettata dai gusti personali, invece, per quanto apparentemente bizzarra o inconsueta, nel caso di una relazione sessuale, non toglie al soggetto la consapevolezza che si sta relazionando con una persona e quindi non toglie nel soggetto la sensibilità, l'empatia, la comunicazione con l'altra persona.”

Concepito come web anime nel 2019, “Miru Tights” ci appare come una serie di corti realizzati dallo studio TRUSS sulla base del concept art di Yomu, artista dalle grandi potenzialità espressive, ma si traduce in un vero e proprio inno ecchi al feticismo più classico e inflazionato: collant, gambe e, soprattutto, piedi.
Eccoci quindi di fronte a un tentativo banale di slice of life che racconta in modo incredibilmente superficiale le vicende di Ren, Homi e Yua, tre liceali giapponesi fra ambienti scolastici, hobby e piccoli momenti quotidiani; una superficialità cercata e voluta, onde non sviare l’attenzione dello spettatore dal soggetto - il feticcio, appunto - che fa da protagonista assoluto in quest’anime, doveroso rimarcarlo, piacevolmente ricercato. Ciò che accade intorno è gentilmente relegato in secondo piano: la parte inferiore del corpo femminile, principalmente le gambe in tutta la loro tridimensionalità, dalle natiche alla punta dei piedi, costantemente avvolte da collant di vario genere, è la star indiscussa e il punto focale di ogni impulso.

Tecnicamente parlando, siamo di fronte a un lavoro sorprendentemente curato, per trattarsi di una produzione così breve (episodi che durano circa quattro minuti l’uno, talmente rapidi e veloci che la serie intera scorre via in un batter d’occhio), esordendo, anche per merito di una colonna sonora dolce e malinconica, con un’atmosfera fra il nostalgico e l’amichevole, capace di non sfociare mai in erotismo esplicito e mantenendo un certo equilibrio, ammiccante e ricco di doppi sensi, tranne che in rari e sparuti momenti in cui la chiave feticista si fa più accentuata e spalanca senza remore un principio d’erotismo diretto.
Come nelle più classiche e rinomate fantasie nipponiche, l’aria d’innocenza delle giovanissime protagoniste si suppone contribuisca a rendere la vicenda estremamente più intrigante, almeno per chi riesce a cogliere e apprezzare tale sfumatura.
“Miru Tights” risulta impeccabile nella rappresentazione dei materiali: nylon, seta, cotone, pelle giovane e vellutata, metallo, pietra, fiori, pioggia, acqua, sudore, ogni elemento riesce ad emergere dallo schermo, arrivando direttamente e sollecitando il cervello di chi osserva. La somma di questi elementi straborda sfrenata, in un chiaro e palese esercizio di celebrazione della sensualità femminile che prende da subito i contorni di un inno al feticismo più classico, contorno di tante fantasie prevalentemente maschili - ma che anche una buona fetta di utenza femminile non disdegna affatto, anzi.

Le forme sode e giovani, i muscoli, la carne, le dita dei piedi, l’armonia degli incavi e delle curve della geometria umana si possono percepire, riempiono gli spazi continuamente, ma soltanto i primi piani riescono a dare il meglio di queste espressioni carnali, poiché quando il campo di visuale si allarga, tali dettagli vengono meno e il livello artistico cala sensibilmente.

La trama è quasi inesistente: le vicende scolastiche maliziosamente incentrate sulle gambe delle protagoniste fingono di trattare quadretti di vita quotidiana, ma dimostrano essere una chiara esca che porterà al continuo esercizio stilistico - mai volgare, semmai stuzzicante - d’un leggero, gentile erotismo velato, in tutti i sensi.
Non mancano i cliché più disarmanti, degni del “miglior” ecchi: troviamo la studentessa svampita, imbranata e ingenua, capace di ficcarsi in situazioni comico-sensuali degne dei primi fratelli Vanzina, perennemente rincorsa dalle compagne di classe intente a porre rimedio alle sue azioni maldestre; in un contesto simile non può mancare all’appello la bella, apparentemente algida e prorompente professoressa super sexy, bomba d’erotismo d’incalcolabile potenza - fantasia quasi scontata, diremmo - che non disdegna d’ostentare le proprie grazie seppur con misurata attenzione, ridimensionando duramente l’ego delle giovani alunne che inevitabilmente finiranno per confrontarsi e uscirne emotivamente sconfitte. Compare anche l’elemento della cosplayer che, in cerca di visibilità, scopre le sue giovani e curate forme atletiche - ovviamente guantate da collant trasparenti - per raccattare consensi online, soddisfacendo quella cerchia di spettatori fan del moderno voyeurismo digitale.
Ci sono ammiccamenti di ogni tipo, in quasi tutte le scene: collant sfilati e infilati, bagnati di pioggia, strappati, colorati e variopinti, primi piani sulle affusolate e delicate dita dei piedi che si muovono in trasparenza, accenni allo yuri e una strizzatina d’occhio anche a un accenno di soft bondage. Spesso le protagoniste sono ignare di suscitare tali sensazioni, immerse nella loro semplice quotidianità, mentre altre volte sono loro stesse a innescare la scintilla e dare il via a situazioni fra l’imbarazzante e l’eccitante.
Bisogna ammettere che il tutto assume quasi sempre un contorno irriverente e autoironico, riesce a prendersi spesso in giro senza scadere in esplicitazioni non richieste né di cui si sente necessità. Si tratta di un lavoro eccellente dal punto di vista artistico, ma che non propone null’altro se non il reiterato gioco di fantasie feticiste: questo dev’essere ben chiaro a chi si sente intenzionato a seguire l’anime in questione.

“Miru Tights” si rivelerà principalmente una piacevole sorpresa per i cultori del genere ecchi e per chi, quotidianamente, si crogiola in fantasie sopr’anzi descritte, mentre ad altri probabilmente non dirà niente.
E’ giusto asserire, tuttavia, che la leggerezza, la qualità e la spensieratezza, nonché l’impatto visivo con cui si presenta, lo rendono probabilmente fra i migliori in assoluto nel suo genere.
Diviene impossibile non riflettere su come, nel corso degli ultimi quarant'anni, la nostra civiltà abbia studiato con più crescente attenzione e onestà i fenomeni e le pulsioni della sfera erotica umana, contribuendo al sacrosanto abbattimento di credenze che potremmo definire ormai medievali, capaci di considerare questo genere di fantasie dei disturbi mentali: medicina e psicologia sono andate molto più a fondo, esplorando il luogo più vasto del nostro microcosmo personale, gli angoli e i recessi del cervello umano in correlazione ai propri desideri e ai propri istinti, un serbatoio infinito di immaginazione, fantasia, inaspettate reazioni capaci di variare da individuo a individuo, capaci anche di far scaturire opere come questa, fra il sensuale e l’ironico.

Consigliatissimo a chi vuole viaggiare con la fantasia e, al tempo stesso, a chi vuole spegnere i pensieri per una mezz’oretta abbondante.
Dilettevole, stuzzicante, ma così leggero.

5.0/10
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Un harem senza nessuno scopo narrativo né alcuna originalità nei suoi elementi.

Akito è un giovane che, dopo essere rimasto separato per anni dalla sua sorellina Akiko, a causa della morte dei loro familiari, riesce infine a ricongiungersi a lei, trovando un lavoretto come scrittore (stile "Izumi Masamune" di "Eromanga Sensei") e una pensioncina vecchia, ma ancora in buono stato, in cui poter abitare insieme. La proprietà dell'abitazione non è chiara, e inizialmente manca persino l'amministratore; in compenso a fare da inquilini vi saranno dei compagni di scuola dei due fratelli, ovviamente tutte ragazze, tutte interessate ad Akito e tutte membri del consiglio studentesco. In pratica, i personaggi passeranno le loro giornate restando costantemente insieme.

Ma che elementi umani ci saranno mai intorno al protagonista e alla sua sorellina? Presto detto: l'ennesima tsundere, meno aggressiva e più introversa, con scarsa espressività facciale, ma grande amore per le cose carine e tendente a battute volgari quando si sente a disagio; la tipica ragazza prosperosa dal fare aggressivo, stavolta con benda piratesca sull'occhio (per nascondere la sua eterocromia), ma sotto sotto verginella incapace come le altre; l'amica d'infanzia 'prezzemolina', meno casalinga e più maschiaccio del modello tradizionale, anche sul piano fisico, in questo caso più acerbo nelle sue forme; infine, rullo di tamburi... un'altra sorellina (non consanguinea), lolita e tenerella, proveniente dalla ex-famiglia tutrice del ragazzo - a lei sarà affidato il compito di interpretare il ruolo di perfetta donnina di casa.
Come elemento occasionale si aggiungerà poi anche la goffa, impicciona e un po' sfortunata editrice di Akito, che non risponde ai canoni puri della donna matura, ma che sarà comunque l'elemento adulto della serie.

Già da questo elenco penso che a molti si spegnerà la voglia di guardare questa mezza stagione, e non potrei dar loro torto; tra l'altro la somiglianza dei nomi dei due fratelli rende inutilmente ingarbugliato parlarne in modo chiaro.

Riguardo all'atmosfera di questa produzione, ci troviamo di fronte a qualcosa di davvero leggero e poco realistico, basti pensare che l'amministratrice della pensione sarà presto una piccola dodicenne. Oltre a questo, la sorellina Akiko non negherà mai l'amore viscerale che nutre per il suo onii-chan, anzi lo urlerà ai quattro venti di continuo. Il suo è un amore chiaramente da donna più che da sorella, eppure ciò verrà preso con spirito giocoso da chi la circonda, come qualcosa di assurdo su cui ridere, piuttosto che qualcosa da condannare per la sua semplice esistenza, perché tanto è impossibile che abbia una sua concretizzazione in futuro. Ciò, va detto, sarà parzialmente merito del fratello Akito, che, in quanto polo di attrazione femminile (nonostante un aspetto normale), frenerà con ferrea pacatezza tutti i tentativi, perlopiù innocenti, da parte di lei, di oltrepassare la linea fraterna. Una linea che talvolta a un occidentale potrà sembrare anche un filo severa. Si può dire insomma che Akito, apparentemente, sia l'umano più normale del gruppo principale, un tipo difficile da far agitare e abbastanza schietto da non creare fraintendimenti.

Tecnicamente la serie è nella norma, e, nel suo essere appartenente al genere harem, l'elemento ecchi si mantiene di medio livello, nonostante l'introduzione di un elemento loli e la presenza costante di due inquiline (la tsundere e l'aggressiva) aventi elementi pansessuali, caratteristica che negli ultimi anni si è fatta più forte e ricorrente.

A livello di gestione dei personaggi, la sorellina Akiko non godrà di particolare preferenza. L'anime mostra perlopiù la convivenza e l'affiatamento occasionale di questo bizzarro gruppetto, al punto da far chiedere inizialmente allo spettatore il motivo del titolo stesso, che verrà un po' più giustificato circa a metà della serie. Da lì in poi infatti verrà mostrato come anche Akito abbia la sua personale visione delle cose, specie in ambito lavorativo, e come anche lui fondamentalmente, nonostante l'autocontrollo, non sia troppo lontano dalle sue coinquiline. Per certi versi, si può dire che il suo continuo respingere gli approcci stuzzicanti delle graziose compagne di scuola, spesso con sincera noncuranza, unita alla sua visione casta della vita con sua sorella, lo renda paradossalmente il personaggio più inquietante tra tutti. Difficile dire come dovrebbe essere il loro futuro secondo la visione del ragazzo o, peggio, qualora lei trovasse, per assurdo, un posto nel suo cuore per qualcun altro di sesso maschile.

A livello di trama, come già detto, vi sarà volutamente il nulla più totale. L'anime per un bel pezzo non farà nemmeno capire bene le modalità con cui sono riusciti a vivere insieme i personaggi, che da piccoli abitavano in città diverse (Kyoto/Tokyo), e alcune cose rimarranno molto vaghe fino alla fine, tipo la ridicola difficoltà di comunicazione dei due fratelli nei sei anni che sono dovuti restare separati, nemmeno vivessero in un'ambientazione medievale priva di strumenti elettronici e mezzi di trasporto rapidi (scempiaggine degna del più serio "Koi Kaze"). A mettere ulteriormente il dito nella piaga, alcune teorie che mi ero fatto non troveranno nemmeno fondamento. Mi riferisco a una frase detta da Akiko, che ringraziava il suo onii-san per averla "salvata" dalla sua famiglia adottiva, discussione poi velocemente interrotta dal fratello. Quella scena, per quanto spensierata, poteva far pensare a una infanzia difficile, ed essere un elemento interessante, se supportato, ma, visto l'animo solare della ragazza e i ricordi altrettanto positivi sul suo passato, non può che trattarsi di un semplice e momentaneo misto di irriconoscenza verso loro ed eccessivo romanticismo verso lui. E' chiaro che Akiko abbia sofferto un po' di solitudine per via della separazione, ma in generale sembra pacifico che si sia trattato di un falso allarme. In dodici episodi, l'unico sforzo narrativo degno di questo nome è stato l'approfondire un pochino meglio due delle rivali di Akiko nelle ultime puntate, mediante flashback su come alcuni di loro si siano conosciuti durante l'infanzia. Aggiungo che la conclusione si lascia persino andare a una rivelazione importante, che rimette in discussione parecchie cose e richiederebbe quindi fortemente una seguito, che dubito vedremo mai. Ciò mi ha causato una bella punta di irritazione, e non dubito farà lo stesso a chiunque avrà la pazienza di regalare il proprio tempo a questo prodotto fin troppo inconcludente.

Non dico di averlo odiato, ma non mi ha fatto nemmeno ridere. E' un anime innocuo in cui perlomeno, una volta tanto, non vi sono insulti e pestaggi al maschio di turno, ma onestamente se ne può fare a meno.

9.0/10
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"Senran Kagura" è sicuramente una delle prove che, a differenza delle controparti live-action, gli adattamenti da manga, e contemporaneamente videogioco, ad anime possono riuscire, e anche piuttosto bene!

La serie - o almeno la prima stagione del 2013, visto che, attualmente (06.04.2018), si rumoreggia con una certa sicurezza a proposito di una prossima seconda stagione - si concentra sulle vicende che vedono protagoniste le eroine della saga principale del videogioco e ricalca quanto accade nei primi due titoli di essa, nei quali troviamo queste cinque ragazze della Hanzō National Academy dapprima alle prese col loro segreto addestramento ninja, e in seguito impegnate nello scontro con le ninja della scuola rivale, la Hebijo Clandestine Girls' Academy, in una sorta di bagattella adolescenziale che però si ha da intendere come la tipica, e ben più gloriosa, eterna lotta tra bene e male.

Ad li là della realizzazione grafica generale ben fatta e animata, le protagoniste hanno tutte una loro personalità, magari non particolarmente approfondita, ma sicuramente ben definita e delineata, e questo contribuisce allo sviluppo corale della vicenda, anche se purtroppo le interrelazioni che incorrono tra loro non sono mai sviluppate più del dovuto, il che è un peccato, visto e considerando che di spunti in questo senso nell'anime ce ne sono, ma purtroppo non vengono assecondati per dare più spazio all'azione.

Ciò che in soldoni ne deriva è un ecchi d’azione, con risvolti comici qui e là, però sorprendentemente frizzante e divertente, ben disegnato e ben curato, con una trama non epica, ma nemmeno banale e sicuramente, se non coinvolgente, almeno appassionante. Dopotutto, si tratta sempre di un anime che segue la storia di un gioco.
Ciò che però, francamente, mi ha stupito di più, è stato constatare che, a conti fatti, i videogiochi risultano decisamente più ecchi di quanto non lo sia l’anime: quest’ultimo infatti, per quanto contenga materiale ecchi, non si sbilancia mai eccessivamente in quella direzione - di sicuro, almeno, non come lo fanno nei videogiochi, spin-off in particolare -, permettendo così allo spettatore di rimanere, anche se piacevolmente distratto, comunque piuttosto concentrato sulla trama e non solo sulle grazie delle protagoniste, che, in ogni caso, non bisogna sforzarsi troppo a immaginare.

In definitiva, si tratta di un'opera divertente e piacevole, un anime d'intrattenimento in questo senso ben riuscito, che, senza particolari pretese, porta sullo schermo l'omonima saga videoludica, peraltro dandole uno spessore che, forse, su Nintendo 3DS non sembrava poter davvero avere.