Fuuka, giovane idol di Tokyo, lascia il mondo dello spettacolo e per una serie di scherzi del destino si ritrova a Okinawa. Qui conosce Kukuru, una studentessa che aiuta la sua famiglia nella gestione del Gama Gama, un piccolo acquario. Le due si trovano a vivere insieme e a lavorare al Gama Gama, almeno per le vacanze estive, perché l'acquario è sull'orlo della chiusura...

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E' questo l'incipit di The aquatope on white sand (Shiroi suna no aquatope), ultima fatica dello studio P.A. Works (Hanasaku Iroha, Shirobako, Uchoten Kazoku), con la regia di Toshiya Shinohara (già regista di diversi film di Inuyasha e Lupin) e il character design di U35 (Shinka no mi) e Yuki Akiyama (Iroduku: Il mondo a colori, sempre di P.A. Works). La serie è andata su Tokyo MX mentre in Italia è visibile su Crunchyroll, per un totale di 24 episodi, trasmessi tra luglio e dicembre 2021, e la suddivisione in due cour, di cui uno iniziato in estate, è a modo suo importante per una storia del genere, perché gioca con i sentimenti dello spettatore.

Ci siamo trovati a guardare, da luglio a settembre (era estate anche all'interno della storia), quella che pensavamo essere una miniserie estiva spensierata, data anche l'ambientazione marittima, ma poi la serie continua da ottobre a dicembre per un secondo cour, e le cose si fanno meno spensierate: un po' perché su schermo continua ad esserci un bellissimo mare ma per noi spettatori era autunno, freddo, pioggia, e un po' perché la seconda parte della serie è un po' più grigia della prima a livello di storia.

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The aquatope on white sand ci affascina sin da subito con i suoi meravigliosi paesaggi, con le sue belle figliole, con una storia semplice ma che tocca i punti giusti.

Un po' (tanto) slice of life mentre ci mostra come si lavora in un acquario, come si dà da mangiare alle creature marine, come sono ripartite, insegnandoci anche diverse nozioni di biologia marina qua e là. I personaggi che gravitano attorno al Gama Gama sono semplici ma simpatici: c'è Kuya che si trova a disagio con le ragazze, c'è Kai che da buon amico d'infanzia anime sembra provare qualcosa per Kukuru, c'è la saggia Karin e l'allegra Udon-chan, c'è il bonario Umi-yan, e soprattutto ci sono loro, Fuuka e Kukuru, che ci colpiscono con le loro storie così diverse eppure destinate a intrecciarsi: una idol dal sogno infranto in cerca di una nuova se stessa e una ragazzina, vissuta praticamente in simbiosi col mare, che un sogno ce l'ha da sempre ma sta per perderlo.

Ci piace vederle interagire, ci interessiamo alle loro sottotrame personali, ci piacciono i gustosi momenti slice of life dove possiamo godere di bellissime spiagge e locali tipici, ci si commuove con diversi momenti toccanti sparsi qua e là, si comincia a considerare l'acquario come una casa e il suo staff come una famiglia, così come accade ai visitatori, che ormai lo conoscono a memoria ma ci tornano sempre perché si sentono a casa. La visione si fa, però, anche un po' tesa, con l'ansiogena minaccia della fine dell'estate e della chiusura del Gama Gama che incombe come una spada di Damocle su Kukuru & co. Sarà possibile salvarlo? Oppure la chiusura sarà inevitabile?

E poi c'è un piccolo, stranissimo, intrigante tocco di sovrannaturale: una piccola divinità che fa da spettatrice alle vicende dei personaggi, e uno strano fenomeno che sembra colpire chi si immerge nel blu delle vasche del Gama Gama, vedendovi riflessi sogni, eventi passati e persone care che non sono più in questo mondo...

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La prima parte della storia è bella e piacevole, si gettano vari semi e, se gestita in maniera differente, potevano fiorire e trasformare The aquatope on white sand in una piacevole miniserie estiva.

Tuttavia, la serie prosegue con un secondo cour che, pur mantenendo lo stesso cast di personaggi, ne modifica inevitabilmente la struttura. L'estate è finita, e con essa anche la spensieratezza dei personaggi e l'adolescenza di Kukuru, che da ragazzina sognatrice si trova gettata dall'oggi al domani nello spersonalizzante mondo del lavoro giapponese. Lei, che aveva sempre vissuto in simbiosi con gli animali, coccolata nel suo acquario a conduzione familiare dove si prendeva cura delle creature, ora si trova a vivere in tailleur il lato manageriale dell'acquario, lavorare al computer in un ufficio, lontana dai suoi amati animali e dagli amici dello staff, con un capo che non la chiama nemmeno per nome e non fa altro che darle ordini e compiti per lei insensati.

La seconda parte introduce nuovi personaggi, abbastanza semplici, alcuni dei quali vengono approfonditi (una su tutti Chiyu), altri invece restano solo lì sullo sfondo, come occasionale comic relief (Eiji o Marina). I vecchi ci sono ancora, di loro si parla meno e alcuni sembra stiano lì solo per contratto (vedi Karin, che prima lavorava al turismo ma ora lavora all'acquario non si sa perché), ma si riesce comunque ancora a percepirli come un bel gruppetto che poi va a mangiare insieme dopo il lavoro o passa insieme il giorno libero divertendosi.

 

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Come tutte le storie che parlano del mondo del lavoro giapponese, anche The aquatope on white sand è ambivalente: da un lato, agli occhi di noi spettatori occidentali, è molto triste e avvilente nella rappresentazione di un mondo del lavoro durissimo dove i capi hanno poca umanità e gli impiegati devono stare tutto il giorno al pc; dall'altro è un anime, non la realtà, quindi ci aspettiamo sempre che prima o poi arrivi il riscatto e noi spettatori diventiamo molto presi dalle sofferenze e dai travagli di Kukuru. E, come tutte le storie che parlano del mondo del lavoro giapponese, alla fine non arriva mai il riscatto ma l'accettazione del mondo del lavoro giapponese, che bello non è ma ti tocca e quindi te lo fai andare bene anche se è diverso da quello che volevi. Sono riflessioni un po' ambigue, difficili da capire per noi non giapponesi, ma che comunque ti danno modo di pensare e non ti lasciano indifferente.

 

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The aquatope on white sand offre tantissimi spunti narrativi, ma nel corso dei suoi 24 episodi spesso vengono abbandonati o non colti come ci si aspettava. Ad esempio, i piccoli accenni a una love story tra Kukuru e Kai (che sarebbe stata molto gradita) non vengono mai approfonditi. Si preferisce, come da copione, lasciare suggestioni yuri tra Kukuru e Fuuka che sono amiche, sono come sorelle, piangono e si abbracciano sostenendosi l'un l'altra, perché non sia mai che gli otaku che dovevano sostenere la serie, ovviamente accorsi a frotte perché attratti dalla doppiatrice di Kukuru, Miku Ito (famosa per il ruolo di Miku Nakano in The quintessential quintuplets), possano accettare che la "waifu" di turno si metta con un uomo invece che con un'altra "waifu".

Il ruolo di Fuuka, inizialmente coprotagonista, viene via via svilito. Da lei ci si aspettava molto: una idol che finisce a lavorare in un acquario. Tuttavia, il fatto che lei sia stata una idol non viene mai affrontato più di tanto, tutte le volte che ha l'occasione di poter tornare a farlo rinuncia perché vuole stare con Kukuru (non sia mai che la ship yuri degli otaku venga meno) e, invece di trovare dalla sua esperienza all'acquario una nuova forza che le avrebbe permesso di tornare a Tokyo sotto i riflettori dopo l'estate, le viene dato un nuovo sogno, che sicuramente le fa onore ma che risulta un po' appiccicato con lo sputo alla fine della serie, incoerente con quello che il personaggio era stato sino a quel momento. Fuuka avrebbe potuto dare e dire molto, ma perde progressivamente importanza, rimanendo solo il supporto morale di Kukuru senza mai poter brillare di per sé in maniera particolare. E per una che faceva la idol è grave...

A livello puramente personale, mi sarebbe piaciuta una serie meno "al femminile", dato che i personaggi maschili qui ci sono, ma sono macchiette non troppo importanti per la storia, mentre dar loro un ruolo più importante avrebbe dato più concretezza alla loro presenza, aprendo altre sottotrame interessanti. Tuttavia, va bene anche così, si avverte ugualmente una certa varietà nei personaggi.

La mancanza più grave, tuttavia, è quella dell'aver totalmente abbandonato l'elemento sovrannaturale che sembrava essere importantissimo nella prima parte della serie. Alla fine, nessuna spiegazione ci viene data riguardo alla misteriosa divinità che compare qua e là ma non sembra un essere tangibile, e un po' per forza di cose viene accantonata la questione delle visioni mistiche del Gama Gama, che però era una cosa importantissima e sembrava il centro della storia nel primo cour, oltre che uno dei suoi elementi più toccanti. Se avessero concluso la serie in dodici episodi soltanto, con un finale diverso, probabilmente avrebbero dovuto approfondire maggiormente la questione.

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Come doppiaggio e musiche, la serie non offre nulla di particolarmente memorabile, mentre invece a livello grafico è spettacolare. Il character design, molto simile a quello ammirato qualche anno fa in Iroduku: il mondo a colori, è bellissimo: ragazze molto belle, dai corpi adulti e longilinei, capelli e occhi coloratissimi e ricchi di riflessi di luce (a livello personale, ho ovviamente gradito l'abbondanza di personaggi dai capelli blu), ma anche personaggi abbastanza vari, uomini, donne, vecchi, bambini. Non è una Okinawa popolata solo da ragazzine o bishounen e la cosa fa molto piacere. Molto realistici e dettagliati gli sfondi, le spiagge, il mare, il locale dove vanno a mangiare i personaggi, gli animali (salvo qualche banco di pesci in una cgi ballerina nel primi episodi). Le due coppie di sigle sono belle ma dimenticabili sulla lunga distanza.

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Il pubblico giapponese ha accolto The aquatope on white sand con un certo calore, attratto da Kukuru e dalla sua doppiatrice, dalle ragazze, dai vari gadget che sono stati prodotti, ma sono poi rimasti estremamente delusi, lamentandosene a più riprese sui social, dal finale, tacciato di essere inconcludente e di aver sprecato tante sottotrame interessanti. C'è chi non ha gradito la prima parte (troppo noiosa), chi la seconda (inutile) e chi invece ha sentenziato la fine dello studio P.A. Works, che dopo l'abbandono della sceneggiatrice Mari Okada non è riuscito a trovare nuovi scrittori validi che potessero rimpiazzarla, andando incontro al declino, perciò dovrebbero, secondo alcuni fan giapponesi, smettere di scrivere storie originali inconcludenti e adattare opere preesistenti, impreziosendole con il loro sempre ottimo apparato tecnico e grafico.

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Quel che è certo, è che è difficile parlare di The aquatope on white sand, perché è una serie che vive molto di alti e bassi, incanta e delude, promette e non mantiene, ti fa affezionare alle storie dei personaggi e al loro viaggio ma poi una volta arrivati alla meta tanto sognata si resta delusi. Come slice of life è bellissimo, ci si sente davvero in famiglia con questi personaggi e vorremmo saperne di più, solo che o non ce lo dicono o se lo fanno poi finisce male. Quindi da un lato forse sarebbe meglio prenderlo solo come divertissement estivo slice of life, ma la serie ha troppe sottotrame interessanti (rimaste incompiute o dalla risoluzione non soddisfacente) per risultare disimpegnata e dimenticabile. Difficile giudicarlo, perché si è sempre in bilico tra quello che ti ha promesso e quello che invece ti ha dato, tra quello che ti aspettavi e che non hai avuto, tra quello che poteva essere e quello che è stato. Vale comunque una visione, perché difficilmente annoia, ai personaggi ci si affeziona, solo che una volta subito l'incantesimo è finita, ti appassioni e vuoi vedere come continua, ma come continua poi non ti piacerà. In un mare di seriette che segui di volta in volta per inerzia, almeno The aquatope on white sand è riuscito a farmi appassionare, e questo in qualche modo va premiato, anche se i difetti sono tanti e non sempre perdonabili. Avrei preferito una miniserie estiva di un solo cour? Ma poi non mi sarei, invece, lamentato del suo essere troppo breve e dimenticabile? Difficile davvero mettere ordine in ciò che penso, ma posso consigliarvi di dargli un'occhiata e giudicare da voi. Se gli antichi Greci avevano ragione, e quindi alle volte è più importante il viaggio che la meta, il viaggio in questa Okinawa da sogno val comunque la pena di essere fatto, a prescindere da quello che poi troveremo all'arrivo.