Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Data la grande affluenza di opere di questa natura negli ultimi anni, sorge assolutamente spontanea una domanda: come si realizza un remake, o, se si vuol essere ancora più coraggiosi, un reboot?
Risposta rapida: non così.

In Toei qualcuno ha ben pensato di tornare alle origini del mondo digitale, alle radici del franchise dei Digimon in forma animata e riprendere in mano gli originali Bambini Prescelti Taichi, Sora, Yamato e compagnia per ri-narrare le loro prime avventure in chiave diversa, ma, superati questi interminabili 67 episodi, ci rendiamo conto che con “diversa” si intendeva “peggiore”, o meglio, “senz’anima”.

La grande spada di Damocle di remake e reboot di ogni sorta è sempre il confronto con l’opera originale, soprattutto se si tratta di una serie particolarmente rinomata, apprezzata e iconica, ma questo, spesso, porta a confronti ingiusti dettati solamente dall’effetto nostalgia e dal legame sentimentale dei fan con le opere originali in questione.
Volendo affrontare un’analisi di "Digimon Adventure" 2020 (che originariamente sarebbe "Digimon Adventure:", ma quei due punti a casaccio rischiano solo di creare confusione) come opera in sé, ci troviamo di fronte a una serie per ragazzi tecnicamente ben fatta e senza particolari pretese, con una caratterizzazione dei personaggi riassumibile in una riga di testo, tanti power up dettati fondamentalmente solo dal riempire gli spazi narrativi tra un nemico finale d’arco narrativo e l’altro e un grande sbilanciamento nel tempo a schermo dei vari Prescelti umani, con Taichi protagonista del 90% degli episodi, spesso in solitaria.
Una serie dimenticabile e prolissa, dunque, che non può affrancarsi dal suo essere “indirizzata a un pubblico giovane” per giustificare la sua mancanza di spessore, perché di opere indirizzate a un pubblico giovane (anche con “Digimon” nel nome) con dei messaggi e delle caratterizzazioni solide è piena la storia degli anime. La situazione, però, si fa drammatica quando cominciano i confronti con il "Digimon Adventure" del 1999.

Uno dei più grandi punti di forza della serie originale era la caratterizzazione dei suoi protagonisti umani, otto ragazzi trasportati in un mondo misterioso, lontano dalle loro famiglie e dal loro “microcosmo” fatto di certezze, ma anche di dubbi, traumi e difficoltà. Qui, i protagonisti sono diventati otto orfani, non perché siano senza genitori ma perché è come se una famiglia non l’avessero, visto che alle persone rimaste nel mondo reale non pensano proprio mai: l’unico ad avere preoccupazioni relative al mondo umano è Joe, quelle due o tre volte che fa qualche gag riguardo alla sua necessità di studiare, ma considerando che appare pochissimo, le sue preoccupazioni diventano ancora più effimere. Il senso di “ragazzi persi in un mondo digitale parallelo” viene completamente perduto, visto che sembrano totalmente noncuranti di ciò che hanno lasciato nel loro mondo (tranne quelle rare volte che qualcosa lo minaccia).

La voragine lasciata dalla mancanza di preoccupazione, da parte dei Bambini Prescelti, nei confronti di ciò che è rimasto nel mondo umano non è comunque paragonabile alla totale assenza di tutte quelle problematiche, quei traumi e quelle difficoltà che i ragazzi si portano dietro nella serie originale, e che erano, illo tempore, alla radice della loro crescita sia come persone che come piccoli, grandi eroi. Adozioni, rapporti difficili con i genitori e divorzi vari svaniscono come neve al sole, in questo reboot, rendendo i protagonisti piatti come fogli di carta e vanificando tutta la metafora originale di potenziamento dei Digimon in rapporto con la crescita personale dei loro partner umani. Gettando nell’apposito contenitore per la differenziata la caratterizzazione profonda dei Bambini Prescelti, viene cestinata anche la controparte combattiva della stessa, cioè il rapporto parallelo tra crescita personale dei bambini ed evoluzione dei loro partner.
In questo "Digimon Adventure" 2020, infatti, i Digimon raggiungono nuovi livelli evolutivi (addirittura più che nella serie originale) per il semplice gusto del power-up, senza che questi comportino una maggiore consapevolezza di sé da parte dei Prescelti né che, ai livelli più alti, abbiano delle conseguenze effettive sul Digimon in questione: se in precedenza la maggiore forza comportava un ritorno a uno stadio più basso finito il combattimento, qui si fa avanti e indietro fino al livello Definitivo senza sforzo, e senza conseguenza, una mancanza di significato dietro alle battaglie che porta con sé un appiattimento delle stesse, anche alla luce dalla diversa etica degli eroi protagonisti.

Se nella versione originale i Bambini Prescelti evitano il più possibile di uccidere i Digimon che si trovano, per un motivo o per l’altro, ad affrontare, nella versione 2020 delle avventure digitali si scatenano stragi sin dai primissimi episodi, senza alcuna remora o ripensamento nei confronti degli avversari affrontati, senza che i protagonisti umani siano turbati dalla violenza di quel mondo e senza che sorga alcun dilemma etico nelle bianche (nel senso di “vuote”) menti dei protagonisti.
Oltre a deficitare da un punto di vista di caratterizzazione personale, però, questa serie riesce a fare di peggio quando si tratta di gestione del cast e interazioni tra i protagonisti: degli otto Bambini Prescelti, alcuni nemmeno si rivolgono mai la parola a vicenda (mentre in originale si sposano pure), non litigano, non si conoscono maggiormente, non si supportano, ma soprattutto non hanno nemmeno lo spazio per mostrarci qualcosa di più del loro carattere (qui comunque appiattito a tutti senza appello). In un notevole sforzo per abbassare ulteriormente il livello già infimo di caratterizzazione dei protagonisti, lo studio ha avuto la brillante idea di attribuire a Taichi un ruolo più marcato rispetto agli altri ragazzi, rendendolo protagonista di, letteralmente, decine di episodi in solitaria, che ovviamente non ne approfondiscono la personalità, ma si limitano a fargli incontrare nuovi Digimon, farlo combattere, e nulla più. Persino in rari episodi dedicati agli altri Prescelti Taichi è sempre presente, persino quando il gruppo è diviso, molto spesso in un ruolo che ha un’influenza sulla trama al pari di quello di Pandaman in One Piece, ma esserci ci deve sempre essere, quasi per contratto. E questo, se si considera che la sua personalità non viene approfondita e che quella dei suoi compagni nemmeno, è assolutamente snervante. Non a caso, ogni episodio si apre con un riassunto della puntata precedente raccontato da Masako Nozawa (abituata a serie Toei di ben altra caratura, e su questo non ci piove) che inizia con le immortali parole “Taichi e gli altri…”, dettaglio che da solo fa capire le intenzioni dello staff di fare grosse differenze tra gli otto eroi umani e i loro Digimon. Si arriva persino a non sopportare più neppure le seppur capaci voci di Taichi e Agumon, perennemente presenti e, come quelle dei loro colleghi umani e digitali, capaci sì e no di dire due frasi in croce, di cui una è composta dal solo nome del proprio partner.

Un buon livello tecnico e una manciata di sigle che passano dal carino al dimenticabile non possono salvare la baracca, che probabilmente non sarebbe stata salvabile neanche da un duetto di Hironobu Kageyama e LiSA su testi di John Lennon e musiche di Ennio Morricone (motivo per cui, in un certo senso, è un bene che non ci sia traccia di nessuna versione di Butter-Fly, la storica sigla originale).

A rendere il tutto ancora più disastroso non è il solo fatto che la serie, rispetto all’originale, manchi di contenuti e caratterizzazione dei personaggi, ma il fatto che fallisca completamente nel creare una qualche storia coerente e una qualche evoluzione e approfondimento dei personaggi nonostante abbia a disposizione più puntate rispetto all’originale.
Se il primo "Digimon Adventure" è una “Endless Summer” di avventure, esperienze e crescita, "Digimon Adventure" 2020 rende fede all’anno che porta nel nome, risultando interminabile e in continua spirale discendente (magari lo fosse, è più una linea retta) verso il nulla cosmico dal punto di vista narrativo e contenutistico.

Personaggi vuoti, storia raffazzonata (e con solo uno dei tanti villain originali, peraltro totalmente stravolto), gestione dei livelli evolutivi che manda totalmente all’aria ogni genere di coerenza, comprimari sbiaditi rispetto alle loro versioni “storiche”, evoluzioni a casaccio (un paio d’altre regole delle due serie originali vengono lanciate allegramente fuori dalla finestra), narrazione prolissa e inconcludente e mille altre piccole o grandi sciocchezze rendono questo "Digimon Adventure" 2020 un anime ignorabile di per sé e un disastro su larga scala se paragonato alla sua serie originale.

Un remake, e un reboot, non devono necessariamente avere la stessa trama delle opere originali, ma gli stessi valori, e lo stesso spirito, sì, e qui l’obiettivo non solo non è centrato, ma, apparentemente, nemmeno inseguito.
Il 2020, per quanto anno funesto, ha regalato remake e reboot di ben altra caratura rispetto a questo (anche in casa Toei), che dimostra come, a volte, anche serie per bambini e ragazzi possono essere difficili da capire se non seguite con attenzione, visto che, palesemente, chi ha sceneggiato e diretto questo remake non ha compreso nulla delle bellissime avventure di quella “Endless Summer” del 1999.

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“Yu-Gi-Oh! Il film - La piramide di luce" è una co-produzione nippo-americana del 2004 e una pellicola della quale personalmente non salvo praticamente nulla. Non ne conservavo un buon ricordo, ma, avendolo appena rivisto, devo ammettere di averlo trovato tremendamente infantile e senza senso.

Parto però dicendo che vi è un dettaglio nel film che ho apprezzato e che di fatto rappresenta l’unico lato positivo di questo lungometraggio. Finalmente, infatti, si vedono le carte di “Duel Monsters” esattamente come sono nella realtà. Aspettandomi ancora una volta quegli orrori rifatti per le versioni occidentali della serie TV, dove le immagini delle carte erano ingrandite senza scritte o informazioni importanti e i personaggi conoscevano a memoria gli effetti di ogni carta quasi per magia, sono rimasto sorpreso che per una volta ci si è limitati a rispecchiare l’impostazione delle carte reali con i testi tradotti in inglese. C’è da dire ovviamente che questo è un dettaglio innovativo solo per le nostre versioni occidentali, visto che in Giappone le carte sono sempre state rappresentate così.

Per tutto il resto il film è una delusione totale. In primo luogo, il lato tecnico e artistico fa veramente pena. I disegni e le animazioni non sono degni di un prodotto per il grande schermo, senza contare che l’estetica generale è abbastanza diversa da quella della serie TV, qui abbiamo dei colori molto più accesi e dei contorni molto marcati, che avvicinano ancora di più il film a una qualsiasi produzione di Cartoon Network rispetto a quanto non avessero già fatto le abbondanti censure sulla serie regolare. Insomma, siamo di fronte a un prodotto estremamente “americanizzato”. Ma non è solo questo che non va. Anche la regia è di una mediocrità totale, basti notare come viene diretta l’entrata in campo delle “Divinità Egizie”, sembrano dei mostri qualunque con delle proporzioni totalmente sbagliate. Il montaggio è un altro aspetto che lascia molto a desiderare, soprattutto quando i personaggi non duellano, si passa da una scena all’altra con eccessiva rapidità e con dei tagli continui che non danno nessun spessore alla narrazione.

La trama non riesce di certo a brillare in questa pellicola dove tutto sembra andato storto. La storia che ci viene raccontata è davvero poco interessante e ricca di forzature. Su questo punto però, ammetto che si può essere un po’ più comprensivi, vista la natura di un prodotto seriale che sbarca sul grande schermo solo per cavalcare il successo televisivo dell’epoca. Davvero poco entusiasmanti i duelli, costruiti male e ricchi di esagerazioni e mosse non plausibili che non piaceranno agli amanti del gioco ufficiale, che oltretutto nel 2004 era già molto popolare anche in Occidente; quindi, anche su questo punto si poteva fare di più.

In definitiva, questo film è davvero un prodotto mediocre e sinceramente, a differenza di altri utenti, non riesco a consigliarlo neanche agli appassionati del franchise. Va bene non aspettarsi nulla dalla trama o dai dialoghi (estremamente pietosi in troppe scene), ma almeno sotto il profilo tecnico è lecito aspettarsi un lavoro decente, quando si tratta di una produzione cinematografica. Un qualunque episodio della serie TV è diretto con più carisma. Da evitare.

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Codesto “Zenonzard” in origine è, o meglio, era, un gioco di carte collezionabili da giocarsi su cellulare. La sua peculiarità stava nel fatto che i giocatori durante i match potevano contare sull’aiuto di un’intelligenza artificiale che suggeriva mosse e strategie e che ne imparava ed escogitava di nuove, mediante processi di machine learning, cosicché, almeno in teoria, col tempo giocatore e AI sarebbero dovuti diventare sempre più affini e sinergici nello stile di gioco.

Proprio l’idea del dualismo tra giocatore e assistente “artificiale” sta alla base della serie di web anime realizzata nel frattempo per promuovere il gioco. Qui si racconta infatti di vari personaggi che, per un motivo o per l’altro, gravitano intorno al gioco del The Zenon (lì popolarissimo), ognuno affiancato da un Codeman, androidi avanzatissimi quasi indistinguibili da un essere umano. Ed è proprio sul ruolo che questi Codeman assumono, e di come costoro trovino una propria ragione di vita (non necessariamente benevola tra l’altro), che si focalizza l’anime. Praticamente un manifesto pro intelligenze artificiali.
Nel frattempo però, i server del gioco hanno chiuso i battenti. Segno che questa serie non ha giovato poi molto alle sorti del game vero e proprio.
In effetti, più che mostrare le meccaniche delle partite, l’obiettivo sembra più essere stato quello di mostrare i molti personaggi che un potenziale giocatore poteva poi ritrovare usando l’applicazione. Ne escono dunque molti mini-episodi piuttosto brevi che non vanno molto oltre il dare una panoramica generale e il fare da prologo a un qualcosa di più grande.
Farebbe parziale eccezione l’arco dedicato al dichiarato protagonista di turno della serie, un cero Souta, che parte dall’essere un grullo liceale un po’ insicuro, per poi beccarsi come partner una bellissima Codeman (Elietta Lash) avente la voce di Saori Hayami, e diventare ben presto una star di The Zenon con tanto di fila di fan-girl che vogliono da lui farsi autografare le poppe. Anche qui, però, non è che alla fine si costruisca qualcosa di consistente.
Ci sono molti personaggi insomma, anche potenzialmente interessanti, ma hanno un tempo di apparizione davvero molto breve. Così è anche per la bella Codeman avente voce di Yoko Hisaka che, ahimè, ha quasi il minutaggio di un battito di ciglia.

Cionondimeno, non si può non notare che come produzione questo “ZenonZard” ha comunque una buona estetica e un accattivante comparto musicale, che creano insieme un buon mix piuttosto gradevole che si fa apprezzare specialmente nel primo episodio.
Non siamo quindi di fronte a qualcosa di imprescindibile, ma almeno un tentativo con la prima puntata lo si potrebbe anche fare, senza, ovviamente, farsi troppe illusioni o aspettative.