Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Mi accingo a commentare la seconda serie di "Classroom of the Elite" e, come temevo, devo confermare che "the song remains the same"... Al termine della visione, ormai mi sono fatto l'idea che l'unica parola che possa riassumere il mio pensiero sull'anime sia: "arido".
Premessa doverosa: so che sto per scrivere un'ovvietà, ma, per coloro che fossero interessati alla visione, meglio partire dalla prima serie risalente al 2017. La seconda, uscita nella primavera/estate di quest'anno, purtroppo conferma tutti i limiti della prima serie con qualche ulteriore peggioramento.

L'anime narra le "gesta" degli alunni di una scuola superiore (liceo XX) che avrebbe la presunzione di formare gli "eletti", ossia un gruppo di ragazzi che dovranno diventare e rappresentate la classe dirigente del futuro della nazione. Di per sé l'intento potrebbe essere buono, tuttavia non ravvedo gli stilemi di scuola di "élite": la scuola oltre alle lezioni "ordinarie" impone una serie di sfide, individuali o collettive, cui attribuisce dei punteggi che cumulati a livello di classe dovrebbero consentire al gruppo di migliorare il ranking, per poi vincere al termine dell'anno scolastico. Le sezioni del primo anno di questi "selezionatissimi" personaggi sono quattro: dalla A alla D.
Senza entrare troppo nel merito, per evitare spoiler, l'originalità delle sfide risiede nella loro "cervelloticità" e, soprattutto, che la scuola consenta agli alunni di utilizzare quasi ogni mezzo per vincere, favorendo intrallazzi, ricatti, trucchi, alleanze di comodo, ecc. ovvero tutto lo scibile dei sotterfugi ispirati all'ormai abusato principio machiavellico de "il fine giustifica i mezzi". Quindi si assiste in oltre venti episodi (tra le due serie) a situazioni al limite del grottesco, in cui i ragazzi (già alcuni di loro affetti da problemi psicologici pregressi e irrisolti) si sfidano senza esclusione di colpi a prevalere (o meglio prevaricare) sugli altri in una sorta di downward spiral, in cui danno sfoggio del peggio dell'animo umano soprattutto in termini di cattiveria, assenza di scrupoli e manipolazione delle menti più deboli.

Avendo visto un discreto numero di anime con ambientazione scolastica, mi sono ormai creato il convincimento che il sistema scolastico giapponese sia visto (e di conseguenza rappresentato) come lo strumento del "male", utilizzato dal "sistema" della società giapponese per formare soldatini in eterna competizione tra loro affinché diano sempre il loro massimo per il raggiungimento del bene comune: il progresso del sistema.
È inutile citare quanti manga e anime abbiano preso in considerazione il tema, illustrando i problemi e le conseguenze di tale impostazione. Sotto questo punto di vista, "Classroom of the Elite" sembra una esasperata metafora della negatività del sistema scolastico, di cui estremizza in maniera paradossale e assurda i difetti di impostazione. In un certo senso e fatte le debite proporzioni di trama, sembra assomigliare anche a "Kakegurui": in quest'ultimo si utilizzano (e male) il gioco d'azzardo e le scommesse, per dare sfogo alle umane passioni e psicosi, per rappresentare, sempre in un ambito "elitario", una scuola che, invece di fornire una formazione per i figli e figlie di papà, diventa una sorta di Gomorra dove i ragazzi si esercitano nella nobile arte del "dominare"... Se interpretassi la trama in tal senso, l'anime diventerebbe uno strumento di "denuncia"... Ma funzionerebbe solo se ci fosse almeno un personaggio che in qualche modo tenti di "sabotare" lo scopo della scuola. E il personaggio ci sarebbe. Un ragazzo dal nome piuttosto difficile sia da pronunciare sia da scrivere: Kiyotaka Ayanokōji.

In estrema sintesi, dagli episodi dell'anime si capisce in modo non del tutto chiaro che il soggetto è una sorta di "enfant prodige", un essere superiore capace di utilizzare le sue facoltà mentali e fisiche per eccellere nella scuola rispetto agli altri. Visto l'andazzo dell'istituto, il buon Kiyotaka si adegua immediatamente ai giochetti (credo per lui puerili... - anche per lo spettatore, ndr) che la scuola organizza per mettere in competizione gli alunni e si cimenta con estrema abilità a renderli a proprio favore, o meglio a favore della classe, in modo che possa prevalere sulle altre e guadagnare posizioni nella classifica. Tanto sarebbe superiore che cerca sempre di nascondersi e restare nell'anonimato, utilizzando come pedine, prestanome e test dummies i propri compagni, utilizzando sia una capacità di persuasione fuori dal comune sia mezzucci che contemplano anche "il ricatto" in senso lato, mascherato da forma di aiuto.
Insomma, un personaggino che, sia nella prima serie sia nella seconda, in due monologhi interiori manifesta il suo senso di superiorità senza troppi giri di parole. Alludo a un dialogo con Suzune Horikita in cui lei ammette la sua superiorità e lui tra sé e sé ammette che per lui le persone che lo circondano sono solo dei mezzi per i suoi fini e, nella seconda serie, al dialogo con Sato dopo l'appuntamento avuto con lei. Qui il dialogo è paradigmatico del personaggio e in senso lato della serie. Lei chiede se si era divertito, perché lui non sorride mai (vero, in tutto l'anime ha l'espressività di un artropode), e lui risponde di sì, ma che non è abituato a sorridere (tra sé e sé afferma che non è che non sia capace di sorridere, ma che Sato non ha nulla che lo faccia sorridere e lo renda felice...). Il carico da novanta arriva subito dopo la dichiarazione di Sato nei suoi confronti e alla sua risposta, che non giudico nei contenuti ma nei modi, che denotano solo il disprezzo nei confronti di coloro ai quali il soggetto non sia interessato. Posso solo concedere l'attenuante a Kiyotaka di tenere lontane le persone da lui per via di oscuri disegni e piani che ha in testa, ma su venticinque episodi lui e tutti gli altri personaggi (ad eccezione di una, Kei Karuizawa, che sembra più normale) sono francamente tutti permeati da un nichilismo e cinismo puerile oltre ogni limite, che non porta a una reazione da parte degli studenti a un sistema scolastico che sembra più una specie di "gabbia dorata".

Pertanto, dopo due serie, a me sembra che l'anime non funzioni: monotono, noioso, ripetitivo... quando non sa più dove andare a parare, tira pure fuori la "macelleria messicana" (violenza fine a sé stessa), in cui Kiyotaka e Ryūen discettano sulla filosofia della paura, e il primo sembra più un J. Bourne in salsa nippon...
Una farsa grottesca dove dopo venticinque episodi non c'è ancora un minimo di messaggio positivo, un barlume di speranza che qualcosa interrompa la negatività che permea tutta la storia, attirando lo spettatore verso il fondo della vacuità. E i personaggi sono delle semplici maschere dietro le quali si nascondono, per difendersi o per non manifestare il loro "vuoto".

Lato tecnico mi sembra che si confermi un prodotto piuttosto convenzionale senza particolari spunti degni di nota, opening ed ending nel classico genere di questo tipo di prodotti e nulla più.
In attesa della terza stagione (per chi volesse continuare nel supplizio), resto dell'idea che sia possibile capire il disegno finale solo leggendo novel/manga, ma credo che siano ancora in corso... e la curiosità resterà insoddisfatta.

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"Hana to Shinobi", conosciuto internazionalmente con il titolo di "A Springtime with Ninjas", è un manga di genere shojo, scritto e disegnato da Narumi Hasegaki. Pensata inizialmente come one-shot per la rivista Nakayoshi, grazie all'apprezzamento dei lettori è diventata una serie in quattro volumi.

Il fumetto ha per protagonista Benio Kasugami, ultima erede della famiglia Kasugami, la più ricca e potente del Giappone, con una storia alle spalle di oltre seicento anni.
Nella famiglia Kasugami però, vige una tradizione ferrea: chi riesce a ottenere un bacio, non importa con che mezzo, dalla "principessa", può sposarla e ottenere le immense ricchezze della famiglia Kasugami. Proprio per questo, per proteggere Benio, la famiglia si serve di un clan di ninja, i cui membri sono al completo servizio della ragazza e pronti a rischiare la vita per lei.
La storia inizia proprio quando Benio raggiunge l'età per sposarsi, e per evitare che malintenzionati cerchino di rubarle un bacio con l'inganno o con la forza, le viene assegnato il suo ninja personale, Tamaki, un ragazzo di bell'aspetto che all'apparenza non sembra molto affidabile. Il suo compito è quello di stare sempre a cinque metri dalla sua padrona per proteggerla in ogni evenienza. Ben presto, infatti, aspiranti pretendenti, con tanto di ninja rivali al seguito, arrivano a disturbare la quotidianità di Benio, e cercare di ottenere la ragazza in sposa.

La storia si snoda dunque tra alcune situazioni tipicamente romantiche da shojo manga, e qualche piccola scena più action, che vede protagonisti Tamaki e gli altri ninja avversari. Nulla di troppo elaborato però, perché "Hana to Shinobi", resta uno shojo, e non tradisce la sua natura.

C'è purtroppo un grosso difetto nel manga, ed è legato al pacing della storia. A causa del fatto che era stata pensata come one-shot, l'autrice conclude la storia nel primo capitolo, in cinquanta pagine circa. Tuttavia, visto il successo ottenuto su rivista, la storia è stata ampliata, e come detto dall'autrice stessa nelle postfazioni ai volumi, sarebbe dovuta durare due volumi, che però poi sono diventati quattro.

Questo, essendo un evento non pianificato, ha portato di nuovo l'autrice a concludere la storia in quello che doveva essere nelle intenzioni il volume finale, ovvero il secondo. Di nuovo poi è stata "costretta" a trovare un espediente per proseguire dopo aver dato, per la seconda volta, una conclusione alla storia. Il problema è che i due volumi successivi non sono all'altezza dei due precedenti, e che la seconda parte del manga sembra un'opera completamente separata dalla prima, e che ha in comune con essa solo i personaggi.

I disegni realizzati da Narumi Hasegaki sono gradevoli e curati, in pieno stile shojo, con belle ragazze, che sfoggiano tanti abiti coordinati e alla moda, personaggi maschili bellocci, che in questo caso più che ninja sembrano fotomodelli, e tanti fiori e petali svolazzanti sullo sfondo delle scene più importanti. Per quel che invece riguarda i combattimenti tra i ninja, il tutto è abbastanza statico, con qualche posa e un po' di shuriken qui e la.

Nel complesso comunque "Hana to Shinobi" resta un fumetto più che discreto. Certo, non è molto originale, ma la storia alla base funziona, e pure con qualche passo falso dovuto alla sbagliata pianificazione della serie, alla fine risulta una lettura piacevole, specialmente per chi cerca un fumetto che oltre alla parte romantica abbia al suo interno anche un po' di azione.

8.0/10
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"Imadoki - Ai giorni nostri!" è una serie di Yu Watase proposta in Italia dalla Play Press in cinque volumi. Si tratta di una commedia scolastica e la suggerisco a chi è pronto ad affrontare queste tematiche: bullismo, interessi e conflitti di classe, maternità precoce, matrimoni combinati e lotta per la propria auto-affermazione. Il vettore che accompagna queste tematiche al lettore è il "linguaggio dei fiori", che impariamo a conoscere attraverso i nostri protagonisti.

"Anche le erbacce a furia di essere calpestate s'indeboliscono. Ma non lo capirai mai finché rimarrai nella tua serra"

Tanpopo Yamazaki è una ragazza solare nata e cresciuta nella regione di Hokkaido. La svolta nella sua vita arriva quando supera un test di ingresso utile per accedere all'esclusivo Istituto Superiore Meio nella città di Tokyo. Si tratta di un liceo in cui dichiarare di essere entrati "grazie al test di ingresso" ha il valore di una auto-segregazione: qui infatti non si accede per merito ma grazie all'appartenenza alle famiglie più influenti e prestigiose del Paese. Tanpopo, ingenua paesana, è talmente eccitata all'idea di iniziare la nuova avventura da voler visitare la scuola il giorno prima della data di inizio lezioni. Con la sua bicicletta varca in modo brusco il cancello e si imbatte in un ragazzo che sta curando dei fiori nel giardino della scuola. Dopo qualche scambio di conoscenza, Tanpopo lo battezzerà "l'amico dei fiori". Peccato che l'indomani, a scuola, questo ragazzo farà finta di non avere mai conosciuto la nuova arrivata. Si scoprirà che lui è il rampollo della casata Kugyo - la famiglia più potente del territorio e che elargisce i più generosi introiti alla scuola. Cosa accadrà nelle pagine successive... è molto meno banale di quello che si può immaginare.

La storia di Imadoki cattura grazie allo stile grafico inconfondibile di Yu Watase, alla narrazione incalzante e alla capacità di affrontare in modo medio-leggero delle tematiche estremamente complesse. Se dovessi scegliere una parola per descrivere come mi sono sentita nel leggere questa storia scriverei "scomoda". Tra un volume e l'altro il lettore è lasciato in sospeso e con un senso di disgusto derivante dall'inatteso conflitto tra "il disegno" morbido-dolce e le situazioni crude come la realtà. Naturalmente si tratta di una favola e Yu Watase non delude il lettore shoujo, il contorno dolce e la storia d'amore tra Tanpopo e Kugyo evolve. Tuttavia, resta una storia che fa del bullismo e delle relazioni di interesse i suoi ingredienti principali.

Se avete apprezzato "Hanayori Dango" di Yoko Kamio, apprezzerete anche "Imadoki" di Yu Watase. Entrambe sono le "erbacce" di una scuola esclusiva, entrambe bullizzate a causa della loro posizione sociale. Con un plus che rende la protagonista femminile di questa storia ancora più interessante: il suo modo di guardare alle relazioni con amicizia e alla vita con positività. Rispetto a Tsukushi Makino, Tanpopo impara nel corso della storia che la realtà non è bella come crede. E' come un timido fiore che sboccia quando scopre come rispondere alle bruttezze della vita.