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Non si può criticare ciò che non si conosce.
Parlo nello specifico degli isekai, un genere che conosco poco, ma cui ho deciso di dare una possibilità. Quindi mi sono informato e mi hanno dato dei titoli “fondamentali”, tra cui il protagonista di questa recensione... “Re:Zero”. Me l’hanno venduto come uno dei migliori anime isekai di sempre, ma a questo punto sono preoccupato... se questo è uno dei migliori, cosa dovrei aspettarmi dagli altri!?

Trama e storia
L’incipit è piuttosto semplice: Subaru, mentre esce da un konbini, viene trasportato in un mondo fantasy. Per dirla alla Boris: “Così, de botto, senza senso!”.
Ok, e qui voglio fare un sincero plauso all’autore (sempre parafrasando Boris): Genio!
Sono serissimo. Subaru viene trasportato in un mondo fantasy e dopo cinquanta episodi non c’è un solo indizio sul motivo per cui è lì, sul perché sia stato scelto proprio lui, sul come sia stato evocato, su chi sia davvero la Strega dell’Invidia o sul rapporto che li lega. Ma tanto a Subaru di tutto ciò non gliene frega niente. A parte uno specifico episodio montato sulla sua famiglia, non c’è un solo momento in cui rimpianga qualcosa o qualcuno del mondo precedente. Le comodità o l’igiene o la cucina... o una qualsiasi cosa del mondo che ha lasciato indietro. Il numero di volte in cui si pone domande sulla propria condizione si conta sulle dita di una mano, e praticamente solo nei primissimi episodi.

«Eh, ma vi ho raccontato il background di Ram e Rem!»
«Eh, ma vi ho raccontato il background di Emilia!»
«Eh, ma le resurrezioni, Puck famiglio ‘puccioso’, Roswaal, Beatrice, gente disturbata ovunque, Garfiel, la storia d’amore, le paranoie mentali, la sfida per il trono, i vescovi del culto, Echidna, le streghe, la gente mangiata viva dai conigli, Elsa, centomila miliardi di robe secondarie!»

Sì, ho capito che è un isekai e che “il bello” (Dio mio, anche no...) sta nell’evasione dal mondo reale.
Sì, ho capito che questi cinquanta episodi coprono solo i primi quindici volumi di una light novel che ne conta trentasette... e che, finché venderà copie a sufficienza, non vedremo un finale.
Sì, ho capito che in questa serie accadono “un sacco di cose interessantissime, tipo che Emilia è andata al mare con un sacco di creme doposole, poi ha preso un casino di sole...” (semicit. Elio).
Sì, insomma, tutto molto bello, ma mi sa che non ci capiamo, caro autore... l’evoluzione della trama centrale è talmente lenta, da potersi considerare quasi assente!

Cantava Vasco: «Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l'ha».

“Re:Zero” è una gigantesca ‘supercazzola’ in cui si accavallano un numero infinito di misteri creati ad hoc, che vengono continuamente incrementati in modo fastidiosamente artificioso e plateale. Saltuariamente qualcosa viene rivelato, ma sono sempre questioni secondarie, poco rilevanti, perché sono tutte cose che non rispondono alle domande fondamentali che stanno alla base dell’evocazione di Subaru.
Aggiungiamoci che il protagonista è un disadattato hikikomori che viene sbattuto in un mondo in cui finalmente anche lui può essere un eroe, pur con tutti i suoi infiniti difetti, le sue debolezze, le sue mancanze caratteriali e disponendo di poteri limitatissimi. Insomma (al netto della marchetta per accattivarsi una frangia di spettatori giovani che potrebbero identificarsi in Subaru), l’intero impianto alla base della storia è il trionfo della forzatura e del deus ex machina. Colpa mia. Chissà che mi aspettavo... è un isekai...

Ma torniamo all’anime.
Subaru probabilmente può resuscitare infinite volte. Probabilmente. Sì, ma lui mica lo sa. Soprattutto all’inizio. Eppure, nonostante sia perfettamente conscio del fatto che per morire deve soffrire come un cane, pur sapendo che ogni volta potrebbe essere l’ultima, il nostro Capitan Coraggio non si pone problemi a rischiare la vita (a suicidarsi addirittura) per gente che conosce da un giorno. Ma se ‘sto mentecatto fallito dalle gonadi rinsecchite non aveva neanche il coraggio di uscire di casa per andare a scuola!

Il fatto di far morire il protagonista centomila volte, comunque, è un espediente interessante: permette di abusare dell'affezione che si crea tra lo spettatore e i personaggi, sfruttandola per ammazzare indiscriminatamente questo o quel comprimario per generare sorpresa, sdegno o altre sensazioni forti. Ma tanto ovviamente nessuno dei personaggi rilevanti è destinato a restare morto, perché un finale di un arco narrativo che non sia un happy ending di disneyana memoria scontenterebbe parte del pubblico. E quindi, quando uno dei comprimari principali muore, lo spettatore sa già che quella è una delle linee che verrà resettata. E quindi l’effetto wow va a farsi benedire.
Come manteniamo viva l'attenzione allora?
Beh, con valanghe di scene truculente e splatter, con dialoghi pesanti, noiosi e sconclusionati, e buttando dentro vagonate di melodramma! E soprattutto costruendo una trama arzigogolata con cui riempire i tempi morti, sbattendo migliaia di misteri in faccia allo spettatore, inserendo personaggi che parlano esclusivamente per enigmi e facendo in modo che il protagonista occasionalmente sbarelli mentalmente. Avanti così. Episodio dopo episodio. Alla ricerca della linea temporale perfetta in cui tutto andrà liscio e in cui Subaru risulterà l’eroe invincibile che salva tutti. Ovviamente, Subaru è l’emblema dell’egocentrismo, non ha visto Steins;Gate e non si pone mai il problema di cosa accada alle persone che dice di amare nelle altre linee temporali. Tanto una Emilia vale l’altra, suppongo, nell’ottica della mera gratificazione personale.
E una volta imboccata la linea corretta, dieci episodi di manfrina infinita per portarla a termine.

Aggiungiamo al calderone dei compromessi narrativi il fatto che Subaru non può parlare con nessuno della propria capacità di tornare in vita dopo la morte. E mi pare anche ovvio, altrimenti salterebbe tutto. Questo porterebbe infatti a una situazione in cui, prima o poi, i comprimari diventerebbero delle marionette nelle mani del protagonista, che direbbe qualcosa tipo: «Sono già morto tre volte, e questa situazione l’ho già passata in un’altra linea temporale. Se facciamo come dico io, vinceremo».
È chiaro e non stupisce, quindi, il motivo tecnico per cui sia stato inserito questo limite, anche se non viene mai neanche lontanamente affrontato o giustificato il motivo all’interno della storia (è così e basta).
Però la credibilità sta a zero, parliamoci chiaro, perché è uno stratagemma debole, e facilmente aggirabile.
Per esempio, perché non provare a scriverlo su carta? Oppure, visto che si trova in un mondo dove la magia è all’ordine del giorno, sparare una balla tipo: «Ho un potere che mi garantisce delle visioni. Vedo lucidamente sprazzi del futuro, e ho un sesto senso che mi dice cosa sia meglio fare o non fare. Se facciamo come dico io, vinceremo».

Infine, un plauso negativo particolare per i dialoghi.
In un mondo di gente che guarda film di supereroi e impazzisce per il MCU, io preferisco i film di Kurosawa e Ozu, che non brillano certo per il passo veloce e gli effetti speciali... e nonostante questo credo di non essermi mai annoiato tanto guardando un prodotto televisivo quanto guardando “Re:Zero”.
Dico davvero. Dialoghi infiniti, logorroici, noiosi, pesanti, melodrammatici e inconcludenti. Minuti e minuti e minuti e minuti di maledetti dialoghi inutili che non aggiungono niente! Dialoghi che falliscono nel dare profondità ai personaggi e che non aiutano in alcun modo a svolgere la trama. Non è la quantità di dialoghi ciò che fa la differenza. È la qualità!
Era dai tempi dei politici della Democrazia Cristiana che non mi trovavo a sentire un tale sontuoso sproloquiare sul nulla.

Sviluppo dei personaggi
Di tutti i personaggi presenti nell’anime solo pochi hanno uno sviluppo di cui vale la pena parlare.

Iniziamo da Subaru. Cominciamo col dire che è un personaggio caratterizzato in modo orribile: un hikikomori di diciassette anni che, per ragioni che vengono spiegate nel corso della serie, è terrorizzato dall’idea di andare a scuola. Eppure, appena arriva nel nuovo mondo, non percepiamo niente di ciò, perché l’unica cosa che Subaru vuole è riscattarsi e rimpiazzare la precedente esistenza con una migliore. Solo che nella realtà non funziona così, ed è arcinoto come l’adolescenza sia in assoluto il periodo più delicato della vita di una persona. È durante gli anni delle scuole medie e superiori che si forma il carattere, grazie a una serie continua di traumi e ferite che lasciano cicatrici che talvolta restano aperte per tutta la vita. Ed è del tutto assurdo che una situazione tanto estraniante quanto un intero cambio di mondo venga vissuta in modo tanto leggero da un adolescente già di per sé disturbato.
A questo aggiungiamo che la personalità di Subaru pare una barchetta in una tempesta, e cambia in modo drastico più volte nella serie. Questo, a seguito degli eventi, sarebbe anche comprensibile, tengo a precisare, proprio per la questione dei traumi di cui parlavo sopra, ma questi mutamenti sono eccessivamente veloci e radicali, e risultano quindi poco credibili e forzati.
Aggiungo che il carattere di Subaru per almeno mezza serie è insopportabile, ma questo non è necessariamente una cosa negativa, è semplicemente l’ennesimo deterrente a proseguirne la visione.

L’altro personaggio rilevante è Emilia. Carinissima, gentile, sensibile, emotiva... e verso la fine ha anche una maturazione abbastanza interessante. Trascurando che passa più tempo piangendo di un neonato con le coliche, e glissando sul fatto che è sostanzialmente inutile per un buon 75% degli episodi, in termini di evoluzione è il personaggio migliore. In sostanza, riesce a lasciarsi alle spalle i traumi legati all’infanzia e a ottenere un po’ di sicurezza in sé stessa. Non male, considerando che ha 115 anni (nella serie non lo dicono, l'ho cercato in rete).

Per il resto, i personaggi sono tutti caratterizzati in modo molto marcato, decisamente stereotipati e spesso fastidiosi nella loro estremizzazione.
Roswaald puzza di marcio dal primo momento che compare sullo schermo. Lo guardi e sai già che darà problemi, che non è affidabile e che sta tramando contro il protagonista. L’alternativa è che estragga un microfono e si metta a cantare Heroes e Starman.
Ram è sempre imperturbabile oltre il logico, fatto salvo per pochi episodi in cui esprime i propri sentimenti, in modo onestamente sgradevolmente piatto e impersonale.
Rem ha problemi di autostima tali da sembrare in alcuni momenti un animaletto da compagnia, ammazzando in brevissimo tempo un potenziale triangolo amoroso che avrebbe potuto vederla come una sorta di rivale di Emilia.
Beatrice è una loli tsundere che alla fine ha una virata melodrammatica che mi ha lasciato quantomeno perplesso.
Geuse, nella sua “incarnazione” originale, prima della riabilitazione forzata e quantomeno stucchevole, è semplicemente uno squilibrato.
Lo stesso dicasi per Elsa, altro personaggio surreale e completamente estremizzato, in questo caso una psicopatica.
Le streghe che si vedono nella seconda serie sono ai limiti del carnevalesco, del tutto inaccettabili.
E così via, personaggio dopo personaggio, in un infinito carosello di macchiette dove credo che l’unico con dei tratti caratteriali equilibrati da persona pseudo-normale sia Otto.
Di nuovo... miliardi di dialoghi wannabe profondi... ma quale sarebbe lo scopo di metterli in bocca a personaggi del genere?

Animazioni e disegni
I disegni sono un po’ inferiori a quanto mi aspettassi. Spesso i volti non mi sono risultati gradevoli e mi sembravano sproporzionati, come se fosse stata prestata poca cura nel disegnarli. Anche le espressioni non mi hanno pienamente soddisfatto. Se non altro non ho visto problemi gravi di proporzioni nelle figure, e i fondali sono molto buoni. Niente da dire anche sulle animazioni, non fanno gridare al miracolo, ma non sono certo scadenti. In linea generale il comparto tecnico visivo mi è sembrato essere tranquillamente oltre la sufficienza.

Comparto sonoro
Il doppiaggio mi è parso sinceramente molto buono, con voci adeguate ai personaggi e una recitazione sempre adeguata. In particolare le voci di Emilia e Satella sono veramente splendide (grazie al piffero, le doppia Rie Takahashi).
Non ho ascoltato una sola sigla iniziale, in quanto non ero interessato. Quindi ho ‘skippato’ ogni volta che era possibile nell’ottica di ridurre al minimo i tempi di visione (risparmiando un'ora di vita circa in totale). Però ci sono un sacco di BGM e di canzoni che fanno da sfondo, e mi sento di dire che, piacevoli o meno che siano, è stato fatto un ottimo lavoro nell’accoppiarle alle varie scene.
Il comparto sonoro, insomma, per la mia opinione, si salva alla grandissima ed è una spanna sopra a tutti gli altri aspetti di valutazione.

In definitiva
L’impressione che ho avuto è che questo anime sia stato creato con il solo scopo di colpire il target cui è rivolto: spettatori perlopiù giovani, privi di consolidata e profonda esperienza cinematografica pregressa.
Il continuo ricorso a scene dal forte impatto visivo, a situazioni melodrammatiche, a dialoghi artefatti, l’enfasi esasperata posta su quisquilie, l’abuso del cliffhanger... lo scopo di questa serie non è narrare una storia con una bella trama e bei personaggi, è unicamente colpire lo spettatore.
E infatti la storia viene continuamente gonfiata con misteri inutili che non contribuiscono a dipanare gli enigmi legati alla trama principale, che viene invece continuamente nascosta sotto approfondimenti di aspetti secondari e trascurabili.
Parafrasando in modo imperfetto Bakuman, “Gli spettatori non sono stupidi, se ne accorgono se cerchi di forzarli a piangere”. Beh, almeno quella frangia di spettatori con un minimo di preparazione.