Il 2014 è stato un anno molto intenso per gli estimatori dello Studio Ghibli, caratterizzato da un susseguirsi di notizie su una possibile chiusura dello Studio, poi riorganizzazione, poi neanche Toshio Suzuki sa cosa, e nel contempo dalla gioia di poter ammirare gli ultimi fondamentali lavori dei suoi Maestri fondatori, una gioia mescolata però ad un velo di malinconia, nella consapevolezza di assistere alla fine di un’epoca.


In mezzo a tutto ciò potrebbe risultare arduo collocare Sanzoku no musume Ronja (Ronja, la figlia del brigante), serie tv diretta da Gorō Miyazaki con la sceneggiatura di Hiroyuki Kawasaki e composta da 26 episodi. Se escludiamo infatti qualche rapida comparsa (Umi ga Kikoeru), lo Studio Ghibli non ha mai prodotto nulla per la televisione, sostenendosi per quasi trent’anni unicamente con gli incassi cinematografici (e merchandising derivato), caso unico per il mercato giapponese. Un modello di business anacronistico e non più sufficientemente proficuo per garantire la sopravvivenza dello Studio, e lo stop, momentaneo o meno, alla produzione di film d’animazione non è che un ulteriore passo verso una ristrutturazione profonda, o pausa di riflessione, per vederla in un’altra maniera. Sanzoku no musume Ronja si piazza in questo contesto, una serie tv può considerarsi un esperimento per sondare il terreno verso una alternativa al solo cinema, cosa normalissima per qualunque altro studio di produzione. Insomma è come se una pasticceria fosse passata dal realizzare sole torte nuziali a fare finalmente anche bignè e zeppole, ma sarebbe comunque ingeneroso considerare Ronja solo su questo aspetto.

Sanzoku no musume Ronja è tratto dal libro per ragazzi Ronja rövardotter scritto nel 1981 da Astrid Lindgren, autrice svedese nota principalmente per il personaggio di Pippi Calzelunghe. Qui è lecito allacciarsi a quel celebre aneddoto risalente al 1971, quando un giovane e baldanzoso Hayao Miyazaki si recò fino in Svezia per chiedere i diritti di Pippi Långstrump, allo scopo di trarne una serie animata, la quale avrebbe di fatto aperto il ciclo dei World Masterpiece Theater (meisaku) con il collega Takahata ancor prima di Heidi. Da parte della Lindgren incassarono però un netto rifiuto e quindi non se ne fece più nulla, i bozzetti di Pippi divennero la vivace Mimiko di Panda Kopanda mentre i materiali paesaggistici sulla splendida città svedese di Visby trovarono una seconda vita, molti anni dopo, in Kiki’s Delivery Service. Il destino ha voluto che fosse il figlio di Miyazaki a trasporre un animazione un libro della Lindgren, a più di quarant’anni dal mai nato "Nagagutsushita no Pippi", e con questo incastro ci piace pensare che con Ronja si sia chiuso un cerchio iniziato nel lontano 1971, quando per gli occidentali “Miyazaki” era solo una normale città dell’estremo sud del Giappone.

Una banda di briganti, capeggiati dal vulcanico Mattis, occupa da anni un castello un tempo appartenente ad un nobile casato ma ormai abbandonato e in decadenza. In una notte di tempesta nasce Ronja, figlia di Mattis e della sua compagna Lovis, e nonostante il malocchio lanciato dalle perfide Strigi (una sorta di Arpìe), tutti i briganti celebrano il lieto evento con balli e canti, quando ad un tratto un forte fulmine colpisce il castello, creando una profonda voragine e dividendo in due la struttura. Dato però che il fulmine colpisce una parte non utilizzata della fortezza, Mattis e i suoi nonostante lo spavento non danno troppa importanza alla cosa. Passano quindi gli anni e Ronja diventa una vivace bambina desiderosa di scoprire i luoghi che circondano il castello, Mattis prende quindi la decisione di lasciarle esplorare la foresta raccomandando alla figlia di fare attenzione alle creature che la popolano, di non cadere nel fiume e di stare alla larga dalla “bocca dell’inferno”, nome dato alla voragine del castello creata dal fulmine.
Ronja inizia così ad esplorare la grande foresta, che ben presto diventa “la sua” foresta, un luogo solo per lei dove scorrazzare in totale libertà, con i suoi pericoli certo (il primo incontro con i griginani non tarderà), ma anche con le sue tante bellezze da non condividere con nessuno.  La stagione calda passa abbastanza in fretta lasciano spazio all’autunno e così, con la foresta divenuta più pericolosa, Ronja inizia ad esplorare le profondità del castello fino a quando non raggiunge la bocca dell’inferno. Nonostante le raccomandazioni del padre, Ronja si mette in testa di voler saltare da un lato all’altro della voragine, allo scopo di vincere le proprie paure, ma quando è sul punto di saltare ecco che davanti a lei si mostra fischiettando un ragazzino della sua età.


Il bambino dai capelli rossi, di nome Birk, altri non è che il figlio di Borka, capo di una banda rivale a quella dei Mattis che praticamente da sempre si contendono la zona a suon di razzie verso i malcapitati viaggiatori. Ronja scopre che Borka e i suoi si sono insediati nella parte del castello non occupata dai Mattis, facendo andare quest’ultimo su tutte le furie, ma a causa della collocazione stessa della fortezza che rende difficoltoso un assedio, ogni tentativo di scacciare via gli intrusi cade inevitabilmente a vuoto, costringendo Mattis a questa fastidiosa “convivenza” per l’intera durata dell’inverno.

Al suo primo incontro con Birk, Ronja reagisce in modo scorbutico e in evidente confusione, eppure dalle sue espressioni traspare comunque un’immediata curiosità, è il primo coetaneo che incontra, del resto; l’iniziale frustrazione di vedere un “intruso” nel “suo mondo” lascia ben presto il posto ad una voglia di conoscenza, e soprattutto di confronto. Tra i due nasce inizialmente una rivalità, che nel tempo si tramuta in qualcosa di più fino a che i due non stringono un patto di fratellanza, ma come reagirebbe Mattis se scoprisse che Ronja ha un simile rapporto con il figlio del suo nemico giurato?


Sanzoku no musume Ronja è palesemente una storia indirizzata ai più piccoli o, se vogliamo, ad un pubblico più generalista rispetto alla maggior parte delle produzioni odierne. In tal senso, Ronja è un gradevole quanto inaspettato ritorno all’animazione seriale del passato, ai meisaku, nel modo di narrare, nel modo di dirigere. Non è un mistero infatti che Gorō Miyazaki sia, nel suo modo di fare animazione - senza essere stato un animatore - più vicino a Takahata rispetto a quanto non lo sia dal padre, lo si era intuito nel prematuro Gedo Senki (in particolare nella sua parte centrale), ne abbiamo avuto la conferma in Kokuriko zaka kara, Sanzoku no musume Ronja ne è l’esaltazione.

Ma i personaggi che popolano la serie, pur relegati nei ruoli del soggetto originario, prelevano dall’ampio campionario Ghibli (e pre-Ghibli) e di conseguenza da Miyazaki-san; su tutti Mattis e le sue reazioni sopra le righe, eccessive ed enfatizzate, così come di tutti i briganti, rozzi e bambinoni, impossibile non associarli per esempio ai pirati del cielo di Laputa. E come dei “bambini sperduti” un po’ cresciuti hanno anche loro bisogno di una figura materna, qui ben rappresentata da Lovis, unica donna del castello e come tale dal temperamento forte e autoritario.
Dall’altra parte abbiamo Borka, dai modi più pacati e ragionevoli rispetto a quelli di Mattis, e questo si ripercuote anche sul carattere dei figli. Se Ronja è una tipica Conan al femminile, Birk si presenta fin da subito educato, furbo e riflessivo, e uno dei pregi della serie si basa sul seguire la loro crescita intellettiva che pian piano si discosta da quella dei rispettivi genitori, con lo sviluppo di sentimenti a loro nuovi a prendere il sopravvento in alcune parti della storia. Sanzoku no musume Ronja non è solo una storia di crescita ma anche una storia di rapporti, tra bambini che vogliono diventare adulti e soprattutto la storia tra una figlia e suo padre. Una certa importanza nell’intera vicenda la ricopre il ruolo dell’anziano Skalle-per, costantemente vigile e che all’occorrenza si dimostrerà con la sua esperienza la giusta guida per la giovane protagonista, e non solo lei.
Nel complesso la serie Ghibli sa intrattenere a dovere, in particolare chi è maggiormente avvezzo a questo tipo di produzioni, con un picco emotivo intorno al giro di boa e qualche colpo di scena interessante, per poi calare leggermente nella parte che precede il finale ma senza mai scadere in modo preoccupante, privo inoltre di eccessivi e manifestati moralismi.


Quello relativo all’aspetto tecnico di Sanzoku no musume Ronja è un argomento sentito e che pertanto merita particolare attenzione. Come noto, lo Studio Ghibli per questa serie ha optato, con l'aiuto della Polygon Pictures, per una realizzazione in computer grafica, rischiando di scalfire la sua immagine di Studio puritano e vergine nei confronti di questi diabolici strumenti, fiero ultimo baluardo di una romantica animazione del “tutto a mano”, e poco importa se già in Mononoke Hime si utilizzasse il computer. Che l’appassionato di animazione giapponese generalmente mal veda l’utilizzo della CGI (computer-generated imagery) non è certo un mistero, e tutto sommato va anche bene così, ma è anche vero che circola ancora una certa ignoranza nei confronti di quest’ultima (anche da chi con gli anime ci campa e dovrebbe avere una visione delle cose più ampia di un “i pupazzi lasciamoli fare ad altri”), poiché come per ogni strumento esistente, c’è CGI e CGI. Tali pregiudizi scaturiscono dal cinema d’animazione statunitense (Pixar e soci) che di fatto monopolizzano da 20 anni l’immaginario collettivo di ciò che è l’animazione in CGI, quando in realtà i suoi utilizzi sono molteplici e i risultati possono differire in maniera totale.

Per spiegare il concetto va fatto un piccolo passo indietro: ai suoi albori la computer grafica nell’animazione tradizionale veniva impiegata per animare principalmente gli sfondi, l’ambiente circostante; il primo e più chiaro esempio è quello di Basil l’Investigatopo del 1986, nella sequenza degli ingranaggi del Big Ben. Così è stato a venire per tutti gli anni novanta (si veda anche la famosa scena di ballo de La Bella e la Bestia) con una CG in linea di massima quasi mai troppo “invasiva” durante questo periodo, fino a quando con l’inizio del nuovo secolo gli americani non hanno calcato troppo la mano; in questo caso l’esempio in negativo è il Sinbad della Dreamworks (2003), un (brutto) film nel quale dei personaggi ancora in 2D convivono in un ambiente ormai interamente tridimensionale, rendendo tutto poco omogeneo e decretando la fine di quel tipo di animazione ibrida.
Quindi personaggi in animazione tradizionale, sfondi in CGI, dove si piazza Ronja in tutto questo? Semplice, Ronja è l’esatto opposto, personaggi in 3D (cel-shading) che si muovono in splendidi fondali disegnati, e questo cambia tutto. Se infatti nell’odierna animazione occidentale la regia è di tipo “cinematografico”, presa poi ad esempio anche da alcuni registi giapponesi (Shinji Aramaki in primis, talvolta Oshii e Otomo), in Sanzoku no musume Ronja la regia rimane tipicamente giapponese, statica, classica.
La forza di questa serie sta tutta qui, è innovativa quanto tradizionale, è realizzata in CGI ma vederla è esattamente come vedere un meisaku, un buon meisaku del XXI secolo, grazie anche ai personaggi ben realizzati e al sempre ottimo design di Katsuya Kondō, che al passaggio alla CGI non perde il suo inconfondibile stile, eppur sempre fresco e mai banale. Il risultato è armonioso, i personaggi sono vivi e vivono in questi bellissimi luoghi, luoghi che si imprimono nella nostra mente creando un affresco fantasioso quanto credibile, reale, divenendo a noi familiari in una manciata di episodi, dal castello al masso sul lago sul quale ama sdraiarsi Ronja, dalle cascate alla caverna dell'orso. Nulla da eccepire neanche sul discreto accompagnamento musicale ad opera di Satoshi Takebe, fedele a Gorō Miyazaki così come la cantante della opening (Haru no sakebi, “Grido della primavera”) Aoi Teshima, già ascoltata nei due precedenti film del regista.

 

Gorō Miyazaki ci dona un’opera animata dal gusto nostalgico nei contenuti quanto proiettata al futuro nei mezzi, e probabilmente nessuno al di fuori di lui poteva riuscirci. Sanzoku no musume Ronja dimostra che produzioni di questo tipo hanno ancora motivo di esistere sul percorso dell’innovazione della tradizione, restituendo per un paio di stagioni gli anime al suo naturale pubblico di riferimento, e a chi quel pubblico lo è stato, i quali non possono far altro che apprezzare.