E’ ormai in corso da parecchio tempo, e sembra ancora non voler finire, il grande revival degli anni Ottanta, tra remake/sequel/nuovi progetti legati a brand storici dell’epoca, gioia e dolore degli ex bambini di quel tempo, e tutta una serie di nuovi progetti strategicamente ambientati in quegli anni dove gli spettatori, i bambini di un tempo ormai adulti, possono comodamente sentirsi a casa.
Grandi esclusi da questo revival sembravano essere, invece, gli anni Novanta: forse ancora troppo ancorati alla decade precedente e perciò schiacciati da essa, forse perché il pubblico di riferimento (gli ex bambini ora adulti) era ancora troppo giovane, chissà.
A noi ex bambini degli anni Novanta ha pensato, fortunatamente, Rensuke Oshikiri, col suo Hi Score Girl, manga pubblicato da Square-Enix tra il 2010 e il 2018 in 10 volumi e trasposto in una serie animata di 24 episodi tra il 2018 e il 2019.


La gestazione della serie tv è stata decisamente travagliata, così come quella del manga: dopo l’annuncio, l’anime è caduto nel dimenticatoio per diversi anni, a causa di problemi legali relativi al manga e alle case produttrici dei vari videogiochi realmente esistenti che giocano un ruolo preponderante nella storia, in particolar modo la SNK pare si sia dimostrata particolarmente restia a concedere i diritti delle sue opere.
Ma tutto è bene quel che finisce bene: il manga, interrotto per via di queste questioni di diritti dopo una manciata di volumetti, ha potuto continuare fino alla sua conclusione, vedendo i primi volumetti “incriminati” ripubblicati con un titolo differente, e si è potuta produrre la serie animata, che fa bella mostra di sé su Netflix con tanto di doppiaggio in lingua italiana.


1991. Haruo Yaguchi è un bambino delle elementari che ha una passione viscerale per qualsiasi tipo di videogioco, sia esso una qualsiasi console da casa o un cabinato di sala giochi. E’ il 1991, quindi il gioco preferito di Haruo, così come quello di mezzo mondo, non può che essere uno solo: Street Fighter II, popolarissimo gioco di lotta che infiamma le sale di tutto il mondo, e di cui Haruo è un appassionato e talentuoso giocatore. I videogiochi, e in particolare Street Fighter II, sono tutto il mondo di Haruo, che si guadagna giocando il rispetto dei compagni di sala e dedica ai suoi titoli preferiti un’attenzione al limite dell’ossessivo. Ma il suo mondo fatto di pixel è destinato a infrangersi in mille pezzi e ricostruirsi in qualcosa di diverso perché lei, Akira Oono, entra nella sua vita.
Taciturna, eternamente sola, Akira appartiene a un mondo totalmente diverso da quello di Haruo: è, infatti, figlia di una famiglia ricchissima, lasciata alle cure di un vecchio maggiordomo e di una spietata tutrice, che permette alla bimba soltanto il tragitto casa-scuola e nessuna distrazione, impegnata com’è tra lo studio e mille corsi vari per trasformarla in una ragazza di buona famiglia.
L’incontro avviene per caso, e galeotto è proprio il cabinato di Street Fighter II. I due bambini si sfidano per caso, e a vincere è Akira, una bambina spuntata da chissà dove, che non sa nulla di videogiochi, si esprime solo a mugugni, grugniti e gesti e sceglie sempre personaggi muscolosi e nerboruti che vengono scartati e presi in giro dagli altri giocatori.
Ferito nell’orgoglio, Haruo invita Akira a sfidarsi nuovamente, facendole scoprire il vasto e bellissimo mondo dei videogiochi e offrendole, di tanto in tanto, una distrazione dalla sua vita così opprimente.

Ex bambini degli anni Novanta, se avete passato la vostra infanzia tra le cartucce del Super Nintendo e i gettoni da sala giochi, questa è una storia che parla di voi, anche se probabilmente non avrete mai raggiunto i livelli di fissazione acuta che Haruo ha per i videogiochi. Hi Score Girl ripercorre, attraverso i videogiochi, le varie fasi degli anni Novanta, e i camei, le citazioni, le chicche, le apparizioni non si contano (ma sarà splendido provarci): da Final Fight a Mortal Kombat, da Darkstalkers a Virtua Fighter, dai personaggi di Street Fighter che parlano con le stesse voci originali del gioco al professore dei ragazzi che è Lau Chan di Virtua Fighter, ci sono quasi tutti i giochi di lotta più popolari della decade, ma la fissazione dei videogiochi del suo protagonista ci riporta a ripercorrere anche altri generi, altre console, altri ricordi. I videogiochi sono il trait d’union di tutta la nostra storia, al punto che i personaggi dei videogiochi (Guile per Haruo e Zangief per Akira, quasi a voler riproporre quella rivalità da guerra fredda che contrappone anche i nostri protagonisti) prendono vita e si trasformano nelle coscienze dei nostri piccoli ma grandi eroi, mettendo in scena conversazioni interiori tanto esilaranti quanto dolci. Ad accompagnare la crescita dei due bambini nel loro passaggio dall’infanzia all’adolescenza, mentre dalle elementari passano alle medie e al liceo, c’è sempre lui, Street Fighter II, simbolico ricordo d’infanzia che ha segnato praticamente tutta la decade con le sue varie versioni. Perché mai non esce direttamente uno Street Fighter III, si chiede Haruo, come ce lo siamo chiesti anche noi all’epoca. Forse perché per Street Fighter III Haruo e Akira non sono ancora pronti, perché per arrivarci devono prima concludere la loro infanzia, la loro sfida, quella a Street Fighter II tra Guile e Zangief (che, tu guarda, in Street Fighter III non sono presenti) e quella tra i loro sentimenti, finendo per ammettere che ciò che provano l’uno per l’altra è qualcosa di più sia della rivalità ai videogiochi che dell’amicizia.


Hi Score Girl colpisce gli ex bambini degli anni Novanta con le sue innumerevoli citazioni videoludiche alla loro infanzia, tra titoli celeberrimi e alcune chicche davvero particolari (vogliamo parlare dell'episodio dove Haruo mette il Virtua Fighter CG Portrait Series di Jeffry in sottofondo mentre studia, e noi ci godiamo per tipo dieci minuti il videoclip originale e la bellissima e nostalgica "Ano nami wo koete" by Takenobu Mitsuyoshi, che tanto familiare risuonerà a chi ha amato in gioventù l'anime tratto dal famoso picchiaduro Sega?). Tuttavia, in realtà, il cuore di quest’opera sta altrove. I videogiochi, gli anni Novanta sono soltanto un mezzo per narrarci una storia semplice, spesso scontata, ma nonostante questo incredibilmente appassionante. Una storia d’amore assai coinvolgente, che si trasforma ben presto in un avvincente triangolo con l’apparizione della bionda Koharu Hidaka, compagna di Haruo che viene da lui coinvolta nella passione per i videogiochi e finisce per innamorarsene: mascolina, determinata, Koharu è una ragazza semplice ma adorabile, a modo suo, quanto Akira, che si incaponisce, perché al cuor non si comanda, ad andar dietro a quel tonto di Haruo, che pensa solo ai videogiochi e che non capisce minimamente i sentimenti, né quelli di chi gli sta attorno né tantomeno i suoi. Per fortuna, attorno a lui c'è tutta una serie di personaggi sopra le righe, dalla madre impicciona al fedele consigliere e migliore amico, dal rivale fighetto con gli sbrilluccichi perenni intorno al bonario maggiordomo di Akira, pronti ad aiutarlo a capire meglio ciò che prova.
Sono semplici ragazzini che giocano ai videogiochi, quelli di Hi Score Girl, come ce ne sono tanti, eppure il triangolo amoroso che li coinvolge ci appassiona quasi fosse un Orange Road degli anni Novanta, un po’ diverso ma con la stessa carica nostalgica di quando ragazzini eravamo noi. Sia Akira che Koharu sono personaggi molto semplici, ma ci si affeziona pian piano a entrambe, tifando ora per l'una e ora per l'altra in turbinio di emozioni.
La risoluzione della love story è scontata, suggerita da troppi elementi sin dall’inizio, ma non potremo fare meno di ritrovarci in preda alle emozioni, col cuore che batte ad ogni puntata, ad ogni sviluppo, mentre i nostri bambini crescono e cominciano a prendere coscienza dei loro sentimenti, e noi ci ricordiamo di quando c’eravamo noi al loro posto, dei piccoli Arthur di Ghosts’ n Goblins, pronti ad affrontare in mutande un intero esercito di demoni per salvare la nostra principessa del cuore, che eravamo un tempo.


Se c’è una pecca, in Hi Score Girl, è nell’aspetto grafico: fedelissimo al tratto del mangaka originale, che già di suo è abbastanza bruttino, le animazioni in computer grafica creano spesso un effetto sgradevole e rendono i personaggi a volte legnosi nei movimenti (per quanto non gli manchi mai l'espressività dei volti). Continuo a credere che uno stile di disegno più simile a quello in voga in quegli anni Novanta che vuole celebrare, avrebbe impreziosito la serie, ma a fronte dell’immensa tempesta di emozioni generata da ogni episodio è un piccolo prezzo che si paga ben volentieri, facendoci subito l’abitudine. Inoltre, l’animazione in computer grafica permette una resa perfetta dei vari videogiochi, che mostrano sprite, personaggi e partite reali (giocate appositamente da professionisti). Ovviamente, il grosso del lavoro lo fa anche la colonna sonora, che ci riporta, esattamente come ce li ricordiamo, brani, tormentoni, frasi, effetti sonori dei videogiochi della nostra infanzia. E se anche i brani orchestrati originali ci riportano qualcosa alla mente, non è un caso. La colonna sonora è infatti, tu guarda, affidata alla leggendaria Yoko Shimomura, che ha firmato in passato le musiche di diversi videogiochi anni Novanta tra cui, guarda un po’, proprio Street Fighter II. Se quindi il tema principale della serie, che accompagna le sfide di Haruo e i suoi amici in varie versioni, vi pare familiare o vi ricorda fin troppo il celeberrimo tema di Guile (che sta bene come sottofondo a qualsiasi cosa) non è un caso… ci ricordiamo, infatti, qual è il personaggio preferito, alter ego e coscienza di Haruo, giusto?




Decisamente molto particolari e d’effetto le sigle, “New Stranger” e “Flash” dei Sora Tob Sakana in apertura, “Houkago Distraction” e “Unknown World Map” con l’inconfondibile voce di Etsuko Yakushimaru in chiusura. In particolare, le due ending si rivelano essere le canzoni simbolo della serie, tanto da essere accompagnate dal video con gli spezzoni dell’anime nei karaoke giapponesi. “Houkago Distraction”, in quattro minuti, riassume tutto ciò che Akira (che non parla mai durante tutta la serie, esprimendosi solo con mugugni, ceffoni, gesti e i pugni e le prese di wrestling del suo Zangief) non ci ha mai detto in ventiquattro episodi, tutto il senso della storia, raccontandoci di una principessa prigioniera di un noioso mondo monocromatico e di un eroe che, inaspettatamente, viene a salvarla, colorando il suo universo con mille emozioni. Hi Score Girl è praticamente tutto qui, e quando ce ne renderemo conto sarà troppo tardi, il nostro volto sarà già solcato da lacrime.
Non necessita di una cura particolare per il doppiaggio, Hi Score Girl, dato che i suoi personaggi sono normali ragazzini e che una di loro non parla, ma, invece, è un po’ spinoso in fase di adattamento, dati i miliardi di giochi di parole, riferimenti, citazioni a videogiochi e console che magari hanno un nome diverso nella versione giapponese e in quella occidentale. In questo, la versione italiana della serie ha incespicato in qualche errore qua e là, pur avendo riconosciuto il nocciolo della questione e avendoci fatto una certa attenzione.

 

Hi Score Girl è un filo diretto con la nostra infanzia, che sfrutta un mezzo (quello dei vecchi videogiochi) a noi ex bambini degli anni Novanta estremamente familiare per raccontarci una storia che ci ricorda di quello che eravamo e che, forse, in fondo al cuore in un certo senso siamo ancora. E’ una serie che emoziona in maniera semplice, ma ogni tanto è bello poter tornare a sognare così, in un mercato anime dove storie d’amore così genuine sono sempre più rare e dove le serie raramente hanno una conclusione. Hi Score Girl ce l’ha, anche se ci ha fatto aspettare un po’ per averla, e per questo dobbiamo premiarlo. La serie completa (è divisa in "Hi Score Girl" e "Hi Score Girl II", ma la storia è unica, volevano solo togliersi lo sfizio di fare l'immagine promozionale della "seconda stagione" ricalcando la celeberrima locandina di Street Fighter II) è disponibile su Netflix con doppiaggio e sottotitoli in varie lingue, quindi è facilmente accessibile a tutti, e non fruirne sarebbe davvero un peccato, con l’unica controindicazione che il nostro cuore sarà colpito da potentissimi, nostalgici, tristi, bellissimi Sonic Boom mediamente ogni tre secondi per ventiquattro episodi.