Nota iniziale: nel corso dell’articolo, l’anime in analisi verrà chiamato “Urusei Yatsura”, il titolo originale, e non “Lamù”, per semplice chiarezza, in modo che non si confonda con il personaggio omonimo.

Dallo spazio giunge un anniversario d’enorme peso: oggi compie, infatti, quarant’anni esatti l’adattamento animato di Urusei Yatsura, manga d’esordio di Rumiko Takahashi cominciato quando ancora andava all’università e realizzato perlopiù in una casetta così piccola che l’autrice doveva dormire in un ripostiglio, e soprattutto premiato con riconoscimenti e un grande amore da parte dei lettori.
A volte, come vedremo, anche troppo grande.
La realizzazione dell’anime sarà piuttosto tumultuosa e ricca degli eventi bizzarri più disparati, in un certo senso in linea con il manga stesso e le sue follie quotidiane.
 
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Se c’è una caratteristica indubbia di Urusei Yatsura, è il suo spirito “giovane” e al passo coi tempi e le tendenze del periodo: questa “gioventù innata” si riflette perfettamente nella produzione del suo anime, visto che ne vennero coinvolti studi e produttori estremamente di recente formazione.
La casa produttrice dell’opera, al suo debutto nel mondo dell’animazione, è Kitty Films (che successivamente si occuperà anche di Maison Ikkoku e Ranma ½), casa discografica reinventatasi produttrice televisiva animata e non; è interessante notare come Urusei Yatsura sia il primo anime a fare uso di una sigla d’apertura di genere pop, innovazione fondamentale che si riflette tutt’oggi sulle produzioni nipponiche, e il fatto che a produrre sia una casa discografica non può essere un caso (infatti, un’altra serie di quegli anni prodotta da Kitty Films, Miyuki di Mitsuru Adachi, è letteralmente infarcita di brani pop già esistenti).
 
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Anche dal punto di vista dell’animazione la serie si dimostra “giovane”: il primo centinaio di episodi circa viene animato dallo Studio Pierrot, ai tempi alla loro terza serie animata dopo Nils Holgersson e Maicching Machiko Sensei e proiettati verso un futuro fatto di maghette, Yu Yu Hakusho, Naruto e Black Clover; il resto degli episodi venne invece affidato allo studio Deen, al suo primo anime realizzato interamente (per tutti i sei anni precedenti si era solo occupato di completare le animazioni altrui) e che tutt’oggi è al lavoro su serie popolari come KonoSuba.
Tutto questo “spirito giovane” porterà a tante cose buone e meno buone…
 
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Oltre ai soli studi d’animazione, Urusei Yatsura lancerà anche due delle più grandi stelle dell’animazione giapponese, talenti riconosciuti in ogni angolo del globo che rispondono ai nomi di Akemi Takada e Mamoru Oshii.
Se la Takada è un mito incrollabile amatissimo da sempre da chiunque anche grazie a Urusei Yatsura, il rapporto tra Oshii e l’opera della Takahashi non è stato così…
Armonioso.
L’interpretazione onirica (e pure un po’ psichedelica) del maestro del cinema d’animazione giapponese, infatti, un po’ a sorpresa (almeno dal nostro punto di vista occidentale e “postumo”) non piacque per nulla ai (numerosissimi) fan del manga, che avrebbero preferito una versione animata più vicina alle atmosfere slapstick e veloci originali, e con “non piacque per nulla” si intende che i fan gli mandavano lettere ricche di epiteti decisamente irripetibili e lamette alquanto eloquenti.
La situazione migliorò, infatti, solo con l’allontanamento di Oshii dal progetto, anche se i fan non apprezzarono affatto neppure la conclusione della serie anime prima del manga, e quindi priva del medesimo finale.
Stavolta le “proteste” si manifestarono in forma di telefonate anonime e di “suona-il-campanello-e-scappa” nei confronti del produttore Shigekazu Ochiai.
 
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La grande giostra di odi et amo (che in un certo senso è in linea con lo spirito della serie, a pensarci un attimo) non si limita però al rapporto tra staff e pubblico, ma anche tra staff e canale: Urusei Yatsura era uno dei programmi di maggior successo di Fuji TV, con una media del 20% di share e un picco al 27% per gli episodi 35 e 36 (non riuscirà a battere il suo “compagno di fascia oraria” Dr. Slump, in gran parte per via dell’astio dei fan del manga verso lo stile di Oshii), ma venne anche votato come “programma peggiore di Fuji TV” da parte degli utenti, per via della costante presenza di ragazze poco vestite e del linguaggio “volgare” imitato dai bambini (più questioni di registro che di parolacce vere e proprie), e i produttori dovettero scusarsi in pubblico.
 
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Il trambusto generale, peraltro, cominciò già dal primo episodio, visto che nello stesso Lamù rimane a seno nudo, cosa che il canale aveva sconsigliato di mantenere rispetto al manga, ma per cui lo stesso Oshii si impuntò rifiutando anche di accorciare la scena.
Ovviamente, la PTA (perché, sì, purtroppo hanno il MOIGE anche in Giappone) non perse tempo a farsi sentire, cosa che diede il via alla “cattiva reputazione” della serie.
E a proposito di trambusti: ricordate l’episodio in cui i protagonisti vanno in gita e si ritrovano ad avere a che fare con una kunoichi?
Ebbene, in quella puntata appare un numero di telefono, che sfortunatamente si è rivelato essere reale, e di conseguenza pesantemente tartassato da scherzi telefonici continui.
La produzione dovette scusarsi pubblicamente (di nuovo), e l’episodio venne in seguito modificato per tutte le future trasmissioni.
 
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Come accennato in apertura, Urusei Yatsura è una serie decisamente folle, e non a caso nel realizzare l’anime lo staff si è sbizzarrito con colpi di testa di vario tipo: basti pensare alle centinaia di camei di ogni ordine e grado, vero e proprio uso comune nell’animazione anni ’80, che si possono scovare riguardando con attenzione le puntate.
Particolare focus ricevono, ovviamente, i personaggi di Maison Ikkoku, altra leggendaria opera di Rumiko Takahashi in corso di pubblicazione all’epoca e che avrebbe ricevuto una serie animata subito dopo la conclusione di Urusei Yatsura, lo stesso giorno, sullo stesso canale, alla stessa ora.
 
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Interessante è il caso del personaggio di Megane: nel manga compare poco, solo all’inizio e non ha nemmeno un nome, mentre nell’anime gli viene dato molto più spazio, e questo per un motivo alquanto particolare: la straordinaria interpretazione di Shigeru Chiba, che riusciva a pronunciare frasi difficilissime con scioltezza e improvvisare egregiamente, dando molta più caratterizzazione al personaggio, al punto tale che Oshii lo rese il suo “personaggio rappresentante” all’interno della serie, e persino nelle sue opere future ci sarà sempre un “Megane”, peraltro spesso interpretato da Chiba.
Fumi Hirano, doppiatrice di Lamù, racconta che le sessioni di doppiaggio con Chiba erano particolarmente spettacolari, con i colleghi che faticavano a non ridere e il doppiatore che metteva una tale enfasi nelle sue interpretazioni da doversi appoggiare da qualche parte mentre recitava.
 
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Rapporto di amore/odio tra regista e fan, rapporto di odio/odio tra PTA e tutti, a parte, cosa rimane oggi delle incursioni terrestri della nostra invaditrice spaziale preferita?
Urusei Yatsura è forse il maggior rappresentante della cultura pop giapponese dei primi anni Ottanta, quel mix di vaporwave e city pop diventato tanto di moda negli ultimi anni grazie alla nostalgia da Commodore e ai piccoli miracoli del web verso canzoni “perdute” come Plastic Love.
Noi ne abbiamo goduto un po’ a intermittenza, ma per i giapponesi Lamù è la grande rappresentante dell’ultimo decennio dell’era Showa in animazione e in cultura popolare generale, portabandiera non solo di fenomeni come il cosplay e la “cultura otaku” ma anche di una casa d’animazione, lo studio Pierrot, che da lì in poi diventerà una delle più solide, importanti e popolari per il Giappone tutto.